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Magia! Il tubo è senza saldatura

Posted by on Set 1, 2017 in Arredo Urbano | 0 comments

Un oggetto che passa quasi inosservato, ma che gioca ancora oggi un ruolo molto importante in diversi ambiti, dai sistemi di estrazione del petrolio ai gasdotti, dagli acquedotti alle costruzioni, dall’industria alle infrastrutture fino all’arredo urbano. Il tubo in acciaio senza saldatura è stato inventato alla fine dell’Ottocento dai fratelli Mannesmann che hanno così reso possibile la realizzazione di manufatti in grado di resistere a pressioni e stress meccanici elevati.

A prescindere dalla tipologia di acciaio impiegato, offre ottime garanzie di compattezza per il fatto di essere composto da un unico pezzo. Precedentemente i tubi, soprattutto in ferro e ghisa, erano invece prodotti in sezioni di varie misure e dimensioni che poi dovevano essere raccordate mediante fissaggio con viti o con saldature: tecniche che si rivelavano spesso insoddisfacenti tanto che i tubi così assemblati erano spesso soggetti a deformazioni.

Il processo Mannesmann si compone di due fasi principali: la produzione del forato e la laminazione “a passo di pellegrino”. Nella prima la barra di acciaio pieno viene scaldata nel forno e immessa nel laminatoio dove scorre tra due cilindri rotanti che la comprimono fino a creare al suo interno una cavità longitudinale. Si ottiene così il forato di acciaio che avrà una lunghezza assai maggiore della barra iniziale. Nella seconda fase, all’interno del forato viene inserito un mandrino (componente che trasmette il moto rotatorio al pezzo in lavorazione) che lo sospinge tra due cilindri sovrapposti e rotanti in senso opposto tra loro. I cilindri premono sul forato esercitando a ogni giro una forza che lamina il forato. Dopo questa seconda fase il tubo raggiunge una lunghezza da 5 a 10 volte maggiore del forato di partenza.

Oggi con questa tecnica si possono ottenere tubi senza saldatura in acciaio sino a diametri di 70 cm con una lunghezza di 15 m, e fino a 30 m per tubi di 40 cm di diametro. Nell’ambito dell’arredo urbano l’impiego di questo materiale ha registrato un’impennata al termine della seconda guerra mondiale; in particolare negli anni 50’ e 60’ molti pali per l’illuminazione pubblica in tubolare d’acciaio sostituiscono i precedenti in fusione di ghisa nei centri storici e diventano la prima scelta nelle istallazioni che riguardano i nuovi quartieri e le nascenti periferie urbane.

Oltre ai vantaggi menzionati sopra, questa tipologia di lampione risulta più veloce da realizzare e dunque anche più economica. Infine non va tralasciato neppure l’aspetto stilistico: le sue superfici lisce e sobrie si rifanno al gusto minimal, protagonista indiscusso del radicale cambiamento del clima artistico avvenuto negli anni Sessanta.

Pali in acciaio sul lungomare di Rimini, anni Sessanta

Lampioni in acciaio sul lungomare di Rimini, anni Sessanta

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Dalla ghisa all’acciaio

Posted by on Mar 13, 2019 in Arredo Urbano | 0 comments

Il palo in acciaio senza saldatura, impiegato anche nel campo dell’illuminazione pubblica con funzione di sostegno per le luci, è un’invenzione nata in Germania a fine Ottocento, che ha reso possibile per la prima volta la produzione di manufatti in grado di resistere anche a pressioni meccaniche elevate. Oltre ad essere molto più leggeri, i pali in acciaio offrono ottime garanzie di compattezza e resistenza perché realizzati in un unico pezzo, mentre quelli in ferro e ghisa, sono spesso prodotti in sezioni, di varie misure e dimensioni, le quali debbono poi necessariamente raccordarsi tramite fissaggi o saldature.

Prima che la nuova tecnologia si diffonda in Europa, e poi successivamente in tutto il mondo, bisogna attendere almeno una cinquantina d’anni. Non mancarono tuttavia, anche negli anni che precedettero lo scoppio della seconda guerra mondiale, nuovi progetti di illuminazione pubblica che prevedevano l’impiego di tubolari in acciaio. In Italia tale opportunità viene sfruttata appieno dalla Società Anonima Stabilimenti di Dalmine (Bergamo) che utilizza l’acciaio già nel 1932 per realizzare gli inediti candelabri di piazza Saffi a Forlì.

Un catalogo, entrato recentemente a far parte della collezione dell’Archivio della Fondazione Neri, mostra un intervento analogo in Belgio, nella città di Bruxelles, a partire dal 1930.  Poteax en Acier, è il titolo del piccolo ma interessantissimo volume (36 pagine in tutto) attraverso il quale è possibile ripercorrere la produzione della Sociéte Anonyme des Usines a Tubes de la Meuse, stabilimento belga specializzato nella fabbricazione di condutture in acciaio per l’acqua e il gas, oltre che di pali per l’illuminazione urbana. Quest’ultima sezione, ampiamente documentata, è suddivisa in due parti.

Nella prima la nuova lega metallica risulta al servizio di una produzione ancora in parte ispirata alla tradizione neoclassica tardo-ottocentesca: sulla superficie liscia del palo persistono infatti decori di tipo floreale e vegetale, maggiormente concentrati sulla base e sulle mensole che compongono la cima. Una tipologia di lampioni destinata a illuminare diverse zone di Bruxelles, compreso il centro storico.

Molto più lineari, geometriche e minimaliste risultano le forme, in particolare dei bracci reggi-lampade, visibili su un altro gruppo di tavole che rispondono alla ricerca di modernità tipica del déco, lo stile affermatosi in Europa nel 1925 in seguito all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali di Parigi. La pubblicazione del catalogo conservato al MIG è successiva a questo straordinario evento di appena cinque anni.

 

 

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