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Restaurare con la luce

Posted by on Lug 18, 2023 in Arte e Luce, Luce | 0 comments

Restaurare gli affreschi con la luce. Oggi questo appare possibile grazie a una rivoluzionaria tecnologia brevettata dall’Università di Bologna e realizzata in collaborazione con il CSICConsejo Superior de Investigaciones Científicas (Spagna).

L’intervento, ancora in fase sperimentale, consiste nell’utilizzo di una particolare soluzione acquosa che, applicata sulla superficie da trattare e irradiata con una fonte luminosa a una specifica lunghezza d’onda, permette di dissolvere i cristalli di carbonato di calcio, una delle principali cause di deterioramento degli affreschi. Originati dalla reazione tra l’anidride carbonica nell’atmosfera e gli ioni metallici presenti nell’acqua, i carbonati possono infatti attaccare porzioni anche molto piccole di un affresco e fino ad ora potevano essere rimossi solamente utilizzando miscele di solventi in molti casi tossiche.

“Poter utilizzare la luce per controllare la dissoluzione del carbonato di calcio fa sì che il processo possa avvenire in modo molto localizzato, con un’elevata precisione, solo nell’area illuminata. Inoltre, basandosi sull’utilizzo di soluzioni acquose e utilizzando una sorgente luminosa a basso costo, questa tecnica è anche economica e sicura per gli operatori che si occupano di restauro” spiega Marco Montalti, professore del Dipartimento di Chimica Giacomo Ciamician dell’Alma Mater che ha coordinato lo studio.

Un altro aspetto davvero interessante è rappresentato dal fatto che potenzialmente il trattamento con la luce può essere applicato anche ad altre tipologie di opere d’arte quali dipinti, stampe, mosaici, sculture e monumenti.

Bologna, la luce che «ringiovanisce» le opere d’arte segnate dal tempo – CorrierediBologna.it

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“Un amore di ferro”

Posted by on Mag 25, 2023 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Installazioni artistiche, Itinerari | 0 comments

Il lampione nasce per illuminare, la panchina è creata per il riposo, la pausa e richiama alla mente la quiete, il verde, la lettura, la conversazione. Due cuori su una panchina, sotto la luce di un lampione, rappresentano una delle immagini in assoluto più iconiche dell’amore universale. La letteratura, l’arte, il mondo del cinema, ci offrono un campionario pressoché infinito di esempi, ma chi di noi non si è seduto, almeno una volta nella vita, su una panchina con la persona amata?

A Torino tra le numerose aiuole fiorite, i corsi d’acqua e i ponticelli del Giardino Roccioso, all’interno del Parco del Valentino, esiste una panchina che ospita una coppia davvero insolita di innamorati: si tratta di due lampioni in ghisa verniciati di verde. L’opera è firmata da Rodolfo Marasciuolo, il giardiniere-artista che orami da anni impreziosisce i giardini e le aree verdi torinesi con le sue creazioni.

Torino, i lampioni innamorati, foto Chiara Remor

Torino, i lampioni innamorati, foto Chiara Remor

I lampioni esprimono un senso di grande complicità e tenerezza, non hanno braccia, ma sembrano abbracciati, e uno dei due china la testa, pardon la lanterna, sulla spalla immaginaria della dolce metà. Considerato il materiale impiegato per realizzarli – la ghisa – la stessa usata per circa un secolo nella produzione di tutti i lampioni per l’illuminazione pubblica, è proprio il caso di dire che il loro è un amore di ferro, col passare del tempo si potrà certo “arrugginire”, ma con una adeguata manutenzione tornerà sicuramente più forte di prima.

Numerosi i cittadini e i turisti che si fermano ad ammirarli e a immortalarli nelle fotografie; tra l’altro, come accennato sopra, l’opera è collocata in uno dei punti più affascinati del Parco del Valentino, che è anche il più famoso e antico parco della città. Già in uso durante il Medioevo, la sua vera trasformazione in parco pubblico si deve a Napoleone e all’abbattimento delle mura nella seconda metà dell’800. Non ancora completato iniziò ad ospitare le grandi esposizioni, nazionali e internazionali, che si tennero dal 1829 al 1961. Proprio in occasione dell’Esposizione Generale Italiana del 1884 venne creato il cosiddetto Borgo Medievale, o del Valentino, con la Rocca.

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Un anno con la Brunt

Posted by on Apr 17, 2023 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Luce | 0 comments

 

Si tratta di un opuscolo pubblicitario, in evidente stile Liberty, pubblicato da una delle più importanti fonderie artistiche del passato, la Compagnia Anonima Continentale, già J. Brunt & C. Un indubbio strumento pubblicitario, in quanto fungeva da calendario per l’anno 1904. Accanto a ciascun mese, inquadrato all’interno di un’elegante cornice, figurano diverse tipologie di oggetti, in particolare lampade e lampadari artistici per l’illuminazione domestica, pali e candelabri per quella stradale.

Ciò è la riprova di quanto la luce rappresentasse l’ambito di attività privilegiata della Brunt, di cui Milano ospitava sia la sede produttiva, ubicata  in via Quadronno, sia quella di via Dante destinata alla vendita. La sede sociale era a Parigi, in Rue Petrelle, mentre succursali erano presenti a Torino, Roma, Napoli, Lione, Bordeaux e Bruxelles. Premiata con medaglia d’oro alle Esposizioni di Parigi 1867-1872-1878-1889-1900, Torino1884-1898, Milano 1881 e Genova 1892. Tutte queste informazioni sono contenute nel prezioso documento sopra citato, che è andato di recente ad arricchire il patrimonio archivistico della Fondazione Neri.

A partire dal secondo decennio del Novecento, lampade elettriche sempre più performanti, frutto delle moderne tecnologie, iniziarono ad essere installate anche – e soprattutto – sulla cima dei suoi pali in fusione di ghisa per illuminare alcune delle principali piazze e strade italiane. I modelli più noti, alti fino a otto metri e impreziositi da raffinati decori vegetali, fecero la loro comparsa a Milano (compresa piazza Duomo), Torino, Genova, Parma, Verona, Roma, Napoli.

Ironia della sorte, di questo stabilimento, in passato così importante e prestigioso,scarseggia la documentazione, in particolare quella relativa ai disegni e ai cataloghi di vendita. Per questo motivo acquista ancora più valore e importanza il documento cartaceo di recente recuperato.

Per maggiori informazioni sulla Compagnia Continentale già  J. Brunt si veda Arredo & Città 1-2013 (pp. 17-20; 40-43) https://www.arredoecitta.it/it/riviste/le-fonderie-del-nord-italia/

 

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Tre lettere sulla ringhiera

Posted by on Feb 8, 2023 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Itinerari | 0 comments

Nel suo prezioso volume, Venezia ponte per ponte, l’autore Giampietro Zucchetta documenta la presenza  di oltre 80 attraversamenti pedonali  in ferro ancora oggi esistenti lungo i canali e i rivi di Venezia, dai più grandi e importanti ai fini della viabilità, ai più piccoli e nascosti.

Realizzati da rinomate fonderie che avevano sede proprio in Laguna – in primo luogo gli stabilimenti Neville, Collalto e Layet – iniziarono a caratterizzare il paesaggio urbano a partire da metà Ottocento quando lo sviluppo dell’industria e la disponibilità di nuove tecniche costruttive permisero di ricorrere all’utilizzo del ferro e della sua lega, la ghisa, per la costruzione delle prime strutture in ferro. I ponti potevano essere realizzati interamente in metallo, oppure presentare l’abbinamento di una struttura in pietra, integrata da ringhiere in ferro e/o ghisa decorate da motivi geometrici e vegetali (struttura mista).

A quest’ultima categoria appartiene il Ponte Borgoloco, sul rio del Paradiso, nel sestiere di Castello, la cui ringhiera in ferro rappresenta un caso unico. Ciò è dovuto alla tipologia del motivo ornamentale che disegna tre “lettere”: una W posta sopra una V e due lettere E in posizione speculare l’una all’altra. Da qualunque lato la si guardi è possibile distinguere le tre lettere W-V-E ripetute su ciascun elemento della ringhiera, a sua volta sostenuta da colonnine in ghisa. In assenza di documenti d’archivio affiora una sola ipotesi plausibile e cioè che durante la dominazione austriaca di Venezia sotto questo pseudo-disegno ornamentale si sia voluto celare un chiaro messaggio patriottico. Le lettere dunque starebbero a “mimetizzare” le iniziali di W (viva) Vittorio Emanuele.

Uno degli elementi che compongono la ringhiera in ferro e ghisa del Ponte di Borgoloco con le tre lettere (W-V-E) che costituiscono il motivo ornamentale

Uno degli elementi che compongono la ringhiera in ferro e ghisa del Ponte di Borgoloco con le tre lettere (W-V-E) che costituiscono il motivo ornamentale

Sull’ultimo numero di Arredo & Città (2-2022) dedicato all’illuminazione storica di Venezia, abbiamo dato ampio spazio anche ai ponti metallici costruiti in decine di esemplari, a testimonianza di come la ghisa abbia inciso sullo sviluppo urbano di Venezia non solo nel settore della luce, ma anche in quello della viabilità.

Per maggiori approfondimenti: https://www.arredoecitta.it/it/riviste/le-luci-di-venezia/

Ponte metallico del Ghetto Nuovo fuso dalla Fonderia Neville, 1865

Ponte metallico del Ghetto Nuovo fuso dalla Fonderia Neville, 1865

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“Il Presepe in Fonderia”

Posted by on Dic 19, 2022 in Il mondo della ghisa, Il museo della ghisa | 0 comments

Da quando partecipiamo, come museo del territorio, alla tradizionale manifestazione Longiano dei Presepi, che l’Amministrazione organizza ormai da molti anni ottenendo un sempre più ampio afflusso di visitatori, da quando, dunque, anche noi approntiamo un Presepe all’interno del nostro spazio, abbiamo sempre fatto la scelta di inserire la Natività e il piccolo ambiente che la circonda, in un contesto che richiami lo specifico del nostro allestimento. Negli anni sono stati utilizzati decori in ghisa, corpi illuminanti, modelli, persino rottami disposti su un bancale.

 

Quest’anno abbiamo pensato di utilizzare quella che in termini tecnici viene definita “cassa d’anima”. Per spiegare di che cosa si tratta bisogna prima descrivere il passaggio che porta dal modello alla fusione di un elemento in ghisa. Il modello rappresenta la figura dell’oggetto che si vuole ottenere, in particolare rappresenta la parte esterna. Sopra il modello si fanno dei calchi con dei materiali in grado di resistere alla temperatura del metallo allo stato liquido: questi calchi si chiamano forme e l’operazione che le crea formatura. Se l’oggetto ha dei vuoti interni, a realizzarli è l’anima. Anche l’anima deve essere prodotta tramite un modello, in questo caso detto cassa d’anima, che riproduce in negativo l’anima stessa. Le casse d’anima, generalmente in legno o in materiale metallico, sono costituite da due matrici che, una volta chiuse, riproducono la cavità corrispondente all’anima. Questa, in  sintesi, serve a creare il vuoto, per esempio all’interno di un palo in ghisa; se non ci fosse l’anima, la forma sarebbe tutta piena (e un palo senza il vuoto interno, non può esistere).

Il “contenitore” all’interno a attorno al quale abbiamo allestito il Presepe è proprio una cassa d’anima.

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Sede: Museo Italiano della Ghisa, presso chiesa di Santa Maria delle Lacrime , via Santa Maria, Longiano (FC)

Orari: sabato, domenica e festivi dalle 14.30 alle 18.00; dal 24 dicembre all’8 gennaio ogni giorno nello stesso orario.

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