Cesenatico 1930
Un piazzale affacciato sulla spiaggia
Nel pittoresco centro storico si respira ancora l’atmosfera dell’antico borgo peschereccio per il quale Leonardo da Vinci in persona progettò nel 1502 l’elegante Porto Canale, tuttora vanto della cittadina. Cesenatico, ubicata tra Rimini e Ravenna, rappresenta uno dei più apprezzati centri balneari della Riviera romagnola.
Già nella prima edizione della Guida ai Luoghi di Soggiorno e di Cura, edita dal Touring Club Italiano nel 1933, Cesenatico figura come una località ben sviluppata dal punto di vista turistico. La marina è descritta come una zona dall’aspetto ridente e signorile, con i viali ben tenuti, asfaltati e adeguatamente illuminati; il fulcro è ormai rappresentato dal vastissimo Piazzale Vittorio Veneto, leggermente sopraelevato rispetto alla spiaggia limitrofa.
È questa l’area dove nel 1927 viene costruito un imponente albergo-kursaal, il Grand Hotel, il cui progetto prevede la realizzazione di un edificio a “L” con il corpo di fabbrica maggiore aperto sul piazzale e quello minore, con locali atti ad accogliere caffè e negozi, aperto sulla strada litoranea.
L’opera è completata due anni dopo e a illuminarlo provvedono alti pali artistici in fusione di ghisa e ferro a sostegno di tre lampade ciascuno: nelle foto, ma soprattutto sulle cartoline utilizzate dai villeggianti per “spedire” i saluti a casa, figurano maestosi nel parterre caratterizzato dal disegno rigoroso delle aiuole fiorite. I 9 pali, ancora oggi presenti sul piazzale, sono stati restaurati nei primi anni Novanta da Neri Spa.
Il limite della piazza è inoltre definito da una balaustra in pietra che si apre verso la spiaggia e il mare a motivo scenografico di belvedere. La struttura funge anche da sostegno per numerosi globi in vetro opalino che accendono le notti estive di fascino e magia.
Read MoreDue opere della Fondazione Neri in mostra a Roma
Due disegni di proprietà della Fondazione Neri sono tra le 230 opere che compongono la retrospettiva dedicata a una delle figure più significative della prima metà del Novecento. Due sedi d’eccezione per Roma, il Casino dei Principi e il Casino Nobile, immersi nel verde di Villa Torlonia, ospitano la mostra “Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà”, curata da Daniela Fonti, responsabile scientifico dell’Archivio dell’Opera di Duilio Cambellotti e da Francesco Tetro, ideatore e direttore del Civico Museo “Duilio Cambellotti” di Latina.
Nelle sedi espositive è ricostruito il profilo dell’artista romano sottolineandone la natura multidisciplinare ed eclettica (fu incisore, cesellatore, orafo, ceramista, illustratore, pittore, scultore, scenografo, costumista) legata a una figuratività di stampo classico, ma aderente allo spirito del suo tempo e ai processi storici in corso in quell’epoca. Oltre al suo profondo rapporto con il mondo naturale dell’Agro Pontino emerge, come tratto distintivo del suo lavoro, l’impegno verso due differenti “direzioni operative”. Cambellotti lavorò infatti come progettista per abitazioni private, ideando vetrate artistiche, mobili, ceramiche, ma misurandosi contemporaneamente anche con la dimensione pubblica; in quest’ottica notevole fu il suo apporto a grandi imprese collettive tra cui la realizzazione di sculture monumentali e di altre opere, soprattutto i cicli pittorici per la nuova città di fondazione di Littoria (Latina) e per il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari.
In ambito pubblico si collocano anche i due progetti di proprietà della Fondazione Neri la cui particolarità deriva dal tema trattato – l’arredo urbano – e dal fatto che se si escludono i disegni di due lampadari, appartenenti all’Archivio dell’Opera di Cambellotti, essi rappresentano un unicum nella sua vastissima produzione.
La prima opera risale addirittura al 1896 (Cambellotti era appena ventenne) e consiste nello studio di una particolare tipologia di lampione liberty, poi successivamente realizzata in fusione di ghisa in otto esemplari per la città di Roma. Oggi uno di questi pezzi è tra i più belli della collezione esposta al Museo Italiano della Ghisa. Il secondo disegno, datato 1925-30, ha invece come oggetto alcuni originali orologi stradali da muro ispirati all’Art déco, la corrente artistica succeduta al Liberty. In meno di 30 anni l’artista le aveva percorse entrambe.
“Duilio Cambellotti. Mito, sogno e realtà”
06/06 – 11/11/2018
Roma, Musei di Villa Torlonia (Casino dei Principi – Casino Nobile)
Read MoreGli “accenditori” di lanterne
A partire dalla metà del Settecento l’illuminazione privata, posta principalmente sui portoni d’ingresso delle case, si trasforma in illuminazione stradale mediante l’utilizzo di lanterne alimentate ad olio o per mezzo di candele. Il controllo e la manutenzione di questi apparecchi, che iniziano a essere fissati anche alla sommità di semplici pali in legno o in ferro, passa dai singoli cittadini a figure specializzate, i cosiddetti “accenditori”. In questo modo si procede gradualmente ad illuminare tutte le città e davvero rilevante è il fatto che tale “servizio” non viene più offerto dai privati cittadini, a spese proprie, ma dalle stesse amministrazioni comunali. Tutto ciò si traduce nella nascita della prima forma di illuminazione davvero pubblica.
Il fenomeno interessa l’intero continente europeo, trovando nelle principali città – Parigi su tutte – il terreno fertile per il suo graduale sviluppo. La figura che emerge, e che sembra accomunare un po’ tutti i centri, è quella di un “ispettore” nominato dagli stessi comuni col compito di sovraintendere agli aspetti riguardanti l’illuminazione delle città.
In Germania, più precisamente nel grande centro portuale di Amburgo, a svolgere nella metà del XVIII secolo questo compito di responsabilità è un certo Cornelius von der Heyde con al proprio servizio 5 aiutanti e 32 accenditori che provvedono all’accensione di ben 400 lanterne. Gli operatori devono seguire un rigido protocollo riportato sulla “tabella dei lumi”, un documento giunto fino a noi sul quale veniva annotato un po’ di tutto: i tempi di accensione e spegnimento, le dimensioni delle candele o la quantità di olio da utilizzare e persino le sanzioni previste per i trasgressori, che si traducevano il più delle volte in riduzioni del salario.
Una sorta di vademecum in 15 punti che riportiamo qui integralmente.
Istruzioni per gli accenditori di lanterne di Amburgo
- Gli accenditori devono accendere le lanterne, iniziando esattamente al tocco della campana, ed osservando le indicazioni riportate nel calendario delle lanterne
- Per l’accensione deve essere aperto solo lo sportello piccolo, e nessun altro: subito dopo chiudere bene di nuovo questo sportello
- Una volta accese le lampade, l’accenditore deve passarvi davanti ed accertarsi, osservandole, del loro corretto funzionamento. Se qualcuna funziona male o si è spenta, rimetterla in funzione. Se si scopre che qualcuno non è al suo posto prima del tocco della campana, l’ispettore è autorizzato a trattenergli dalla paga mezzo tallero, ove tre quarti di questo vanno dati ai poveri
- L’accensione delle lanterne deve essere eseguita con la massima cautela, appoggiando la scala e avvicinandosi quindi al tubetto dello stoppino, ove lo stoppino non deve incassarsi e impedire una corretta combustione
- Gli accenditori sono tenuti a spegnere le lanterne nei giorni che seguono all’ultimo quarto fino alla luna piena
- Gli accenditori devono di persona accendere le lampade e per nessuna ragione affidare tale incarico a terze persone. Se esistono motivi validi per tale impedimento devono informare l’ispettore, il quale dovrà incaricare un altro a loro spese, in modo che nulla venga tralasciato
- Gli accenditori devono anche avere propri lumi, lanterne e scale, senza nulla mettere in conto alla comunità della città
- Se in qualcuno viene riscontrata trascuratezza nel lavoro, questi subisce ammende pecuniarie con detrazioni dalla paga come segue
- Se una lampada viene accesa una mezz’ora prima o dopo, e precisamente prima o dopo il tocco della campana, 3 scellini
- Se e dopo l’accensione della lampada viene trovato uno sportello aperto, 8 scellini
- Per una lampada che non è accesa, 6 scellini
- Allo stesso modo per una lampada non accesa dall’addetto ma da qualche altra persona, 6 scellini
- Per una lampada che viene trovata accesa nei giorni in cui devono rimanere spente, per un’ora oltre quella stabilita, 3 scellini
- Chi invece dimostra all’ispettore le ragioni che hanno impedito l’accensione delle lampade o una loro irregolare funzione non subirà ammenda pecuniaria
- Tutti sono infine tenuti a comportarsi responsabilmente in conformità al contratto prescritto, ove ciascuno deve essere trovato sobrio e corretto durante il lavoro, mentre all’ispettore è data facoltà di punire i trasgressori con la riduzione della paga. Ed ognuno deve attenersi a tale regolamento.
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Quell’Esposizione che cambiò Bologna
130 anni fa, il 6 maggio 1888, si inaugurava a Bologna, alla presenza dei reali e del Presidente del Consiglio Francesco Crispi, un evento di tale portata da cambiare per sempre il volto della città. Furono i Giardini Margherita ad ospitare la Grande Esposizione Emiliana articolata in tre settori: Musica, Belle Arti, Agricoltura-Industria, con i padiglioni che si rifacevano ad uno stile esotico e naturalistico.
In quello principale, immerso nel verde, sono illustrati gli indirizzi agricoli e industriali delle province emiliane: emerge il ruolo dell’industria a supporto dei processi di trasformazione e conservazione degli alimenti (da segnalare la ditta Zamboni & Troncon che realizza le prime macchine per la fabbricazione di paste alimentari, in primo luogo proprio del tortellino, uno fra i più rinomati prodotti bolognesi).
L’altro grande comparto è rappresentato dalla meccanica che vede il rafforzamento di due aziende già presenti sul territorio: le Officine Calzoni e lo Stabilimento Meccanico e Fonderia Gaetano Barbieri, entrambe orientate verso la produzione di impianti elettrici, turbine idrauliche, pompe e compressori per la refrigerazione. Rinomata è pure la Maccaferri, dal 1879 impegnata nella costruzione di gabbie di ferro per argini e catene per il rinforzo degli edifici pericolanti.
Ma all’Esposizione bolognese c’è spazio pure per l’arredo urbano: a dominare la scena è la monumentale fontana in cemento al centro del piazzale, una delle opere più note dello scultore Diego Sarti (1859-1914). Ultimata proprio in occasione del grande evento riscosse un tale successo da essere poi successivamente ricollocata in pianta stabile nei Giardini della Montagnola, vicinissima all’altra fontana, quella della “Ninfa”, altro capolavoro del Sarti, questa volta però in marmo, posta dal 1896 al centro della scalinata della Montagnola.

Diego Sarti, la fontana in cemento nel piazzale dell’Esposizione Emiliana, Bologna, Giardini Margherita, 1888
Ad illuminarla di notte provvedevano, allo stesso modo di oggi, splendidi candelabri in ghisa realizzati proprio nello stesso anno dalla Gaetano Barbieri di Castel Maggiore e di cui il MIG vanta il privilegio di esporre nella sua collezione due esemplari: uno di dimensioni più contenute a 4 luci e l’altro decisamente più imponente a 5 luci.

Bolonga, Scalea della Montagnola con la fontana in marmo del Sarti e i candelabri artistici della Barbieri
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I lampioni di Plaça Reial, manufatti d’autore
Se è sempre più difficile trovare nelle nostre città italiane ed europee esemplari in ghisa otto-novecenteschi, ancora più rari sono gli elementi che possiamo definire d’autore.
Antoni Gaudí, che certo non apparteneva a una famiglia benestante, iniziò ad esercitare la professione subito dopo aver ottenuto il titolo di architetto. Il successo fu immediato.
E’ il 1878 quando riceve la prima commissione per un progetto pubblico. Vincitore del concorso municipale indetto per la decorazione di Plaça Reial, uno degli spazi più prestigiosi di Barcellona, è incaricato di disegnare i nuovi lampioni destinati a illuminare la fontana monumentale posta al centro, opera della rinomata fonderia francese della Val D’Osne. I modelli riscuotono successo non solo tra i concittadini ma anche da parte della stampa: l’interesse è motivato soprattutto dal moderno accostamento della pietra, materiale di cui si compone la base, con la ghisa impiegata per la colonna e la cima che funge da supporto per sei mensole reggi lanterna.

Placa Reial con il lampione di Gaudì in primo piano e la fontana monumentale sullo sfondo, foto storica
É il progetto che fa conoscere per la prima volta al grande pubblico l’architetto catalano: Gaudí è grato della pubblicità poiché sa perfettamente che farsi conoscere è fondamentale in una professione come la sua. Nonostante tutto, però, il progetto dei lampioni cela anche un retrogusto amaro dal momento che le autorità municipali cercarono in tutti i modi di tagliare il suo onorario. La disputa con il Comune durò a lungo ma alla fine Gaudì, grazie alla sua tenacia, riuscì a ottenere una retribuzione adeguata.
Ancora oggi i lampioni richiamano in questo affascinante angolo di Barcellona cittadini e turisti che ne osservano ammirati le insolite forme e la profusione dei decori. I pali sfoggiano un coronamento a forma di elmo che essendo un’allusione a Mercurio, dio del commercio nella mitologia greco-romana, vuole ribadire il ruolo principale svolto dalla piazza fin dalle sue origini: un luogo cittadino deputato al ritrovo, all’incontro, ma soprattutto uno spazio destinato ad accogliere numerose attività commerciali.
Read MoreSiderurgia made in Italy nell’Argentina del ‘900
Recentemente la collezione del MIG si è arricchita di un nuovo pezzo in fusione proveniente dall’Argentina. Un basamento per lampione che reca impresso lo stemma della Provincia di Buenos Aires accompagnato dalla data 1882 e dall’iscrizione Gobernador Dardo Rocha. Elementi significativi che ci “restituiscono” un pezzo importante di storia del paese sudamericano. Dardo Rocha, infatti, oltre a governare questo territorio dal 1881 al 1884 fu anche il fondatore della città di La Plata (divenuta poi capoluogo della Provincia di Buenos Aires), primo centro dell’Argentina ad utilizzare, per sua stessa volontà, l’illuminazione elettrica.
A distanza di pochi anni da questi eventi sarà l’Esposizione Universale di Parigi del 1889 a mostrare al vecchio continente il potenziale economico dell’Argentina. La capitale, Buenos Aires, ha assunto ormai un carattere metropolitano e cosmopolita da quando il suo volto urbano è stato ridisegnato grazie all’impiego del ferro e dell’acciaio, particolarmente rilevante nell’ambito delle strutture portanti. La crescita accelerata ha reso conveniente l’utilizzo di strutture metalliche prefabbricate e un veloce adeguamento ai modelli alla moda in Europa da dove importa gran parte dei minerali ferrosi, essendo il suo territorio privo di giacimenti sfruttatabili industrialmente.
Ma ad essere importati non sono solo i materiali: fabbri liguri e piemontesi agiscono da protagonisti del settore. Il 60% delle officine meccaniche che operano in Argentina a inizio ‘900 sono di origine italiana e impiegano la tecnologia del ferro per realizzare stazioni ferroviarie, ponti, strutture portuali, zuccherifici, fabbricati destinati all’allevamento del bestiame, magazzini per la salatura delle carni e la lavorazione del cuoio.
Compaiono, inoltre, anche le altre tipologie caratteristiche della cultura dell’epoca come arredi urbani, costruzioni per il tempo libero, padiglioni espositivi, chioschi per la musica, giardini d’inverno. Tutti elementi che costituiscono una componente tipica dell’identità formale e architettonica riconoscibile nelle principali città argentine.
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