Arredo Urbano

1922-2022: AUGURI RICCIONE!

Posted by on Mag 19, 2022 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Itinerari, Luce | 0 comments

 

Esattamente un secolo fa Riccione diventava Comune: un Regio Decreto ne sancì la definitiva indipendenza dalla città madre, Rimini. La propensione al turismo balneare, che si era manifestata già alcuni decenni prima grazie all’intervento di illuminati pionieri, conobbe un’accelerazione improvvisa proprio nel 1922 con il conferimento della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini che aveva scelto Riccione come residenza estiva di famiglia. Il volto elegante e patinato del regime, tra feste, spettacoli e ricevimenti di Capi di Stato, favorì certamente la nascita di un’icona del turismo nazionale, anche se il duraturo successo di una piccola cittadina fu piuttosto l’effetto della laboriosità infaticabile dei cittadini di Riccione negli anni del dopo guerra e del boom economico [1]. Con l’appellativo di “perla verde dell’Adriatico” la città si apprestava così a diventare una meta di caratura internazionale, conosciuta e celebrata in tutto il mondo.

Viale Ceccarini, primi del '900

Viale Ceccarini, i primi pali artistici in ghisa per l’illuminazione (inizio del ‘900)

Viale Ceccarini illuminato, 1940

Viale Ceccarini illuminato, 1940

Le origini della vocazione turistica di Riccione risalgono alla fine dell’Ottocento e sono legate alla figura della sua più illustre benefattrice. Pochi tra coloro che passeggiano su Viale Ceccarini sanno che il nome del luogo più rinomato della città è appartenuto a una signora newyorkese, Maria Boorman Ceccarini, la quale, dopo la morte del marito – affermato medico italiano impegnato per anni come commissario di sanità nella metropoli statunitense – si adoperò per il miglioramento delle condizioni dei riccionesi e di quella che era ormai diventata la sua città di adozione. Sostenne finanziariamente la Società Operaia di Mutuo Soccorso e la Biblioteca Popolare Circolante, inaugurò un Giardino d’Infanzia, distribuì per anni trecento minestre giornaliere ai più bisognosi. Contribuì anche alla realizzazione del porto e alla strada di accesso all’approdo.

Provvide persino – ed è il dato per noi più interessante – all’illuminazione pubblica del paese con l’istallazione di numerosi lampioni in ghisa. In origine i manufatti poggiavano su basi artistiche e reggevano cime a forma di pastorale. Con il passare del tempo saranno sostituiti da pali più semplici, spesso realizzati in acciaio, e da armature a tesata. Molte tipologie sono ancora riconoscibili nelle cartoline d’epoca che mostriamo.

Viale Ceccarini, 1960

Viale Ceccarini, 1960

Viale Ceccarini, anni 80

Viale Ceccarini, anni 80

Viale Ceccarini 1980

Viale Ceccarini 1980.  Sulla destra un palo in acciaio regge un corpo illuminante a forma di “fungo”

Risale all’ottobre del 1911 il cambio di nome del viale, da “Viola” a Ceccarini, un omaggio di tutta Riccione all’amata concittadina. La strada – sulla quale affacciano gli edifici principali e che si apre a una sua estremità sul lungomare – fu ampliata e venne dotata di marciapiedi e di lampioni. Si procedette inoltre con la piantumazione di quei pini che ancora oggi regalano ombra e refrigerio nelle calde giornate estive.

La città e il suo viale crescevano insieme alla notorietà del luogo. Il viale fra gli anni’60 ‘70 iniziò ad essere conosciuto con l’appellativo di “Montenapoleone dell’Adriatico”, il che la dice lunga sulla sua eleganza, legata anche ai brand del lusso, ancora visibili con le loro vetrine che si susseguono lungo la passeggiata. Una città e un viale, simboli da un secolo di vacanza e di tendenze alla moda, che stanno oggi sfumando nella concorrenza di infinite proposte turistiche che animano la Riviera Adriatica e che ogni anno si presentano con nuove accattivanti attrazioni.

Riccione, lungomare, nuovi lampioni realizzati da Neri Spa. Progetto: Polistudio Aes e Comfort Hub. Lighting design: Chiara Tabellini

Riccione, lungomare, nuovi lampioni realizzati da Neri Spa. Progetto: Polistudio Aes e Comfort Hub. Lighting design: Chiara Tabellini

 

[1] Beppe Boni, Riccione. La bellissima del mare 100 anni di storia (Vol. 1), Editoriale Nazionale S.r.l., Bologna 2022, p. 31

 

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Quella vecchia pompa di benzina

Posted by on Mar 3, 2022 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa | 0 comments

Le moderne stazioni di servizio, soprattutto quelle ubicate lungo le autostrade e le strade di grande percorrenza, sono ormai luoghi commerciali deputati alla vendita di una vastissima gamma di prodotti. Paradossalmente questo fenomeno ha contribuito nel tempo a porre in secondo piano il vero motivo per cui sono nate, oltre un secolo fa: consentire il rifornimento di combustibile per le automobili. Fa dunque una certa impressione ricordare come a inizio ‘900 la benzina venisse per lo più acquistata in drogheria e in farmacia; le sue funzioni principali erano infatti quelle di alimentare le lampade per l’illuminazione domestica e di combattere la diffusione dei pidocchi. Le poche automobili circolanti acquistavano il carburante direttamente nella latta, o si rifornivano alle prime rudimentali pompe di benzina su ruota collocate fuori dal negozio stesso.  Negli anni Venti la nuova moda di costruire stazioni apposite, partita dagli USA, dilagò rapidamente anche in Italia, a fronte di un aumento considerevole della motorizzazione, e da quel momento le principali società petrolifere iniziarono a fare il loro ingresso nel paese.  Il paesaggio urbano si andava ad arricchire di un nuovo elemento.

Fino agli anni Quaranta le stazioni consistevano esclusivamente nella presenza di una o più pompe, la combinazione più frequente era la coppia destinata al rifornimento sia di benzina che di aria necessaria a gonfiare gli pneumatici.  Un bell’esempio è documentato su una cartolina conservata nel nostro Archivio. La località è Giaveno, comune in provincia di Torino dove, sulla destra di piazza S. Lorenzo, a fianco di un chiosco edicola, si riconosce distintamente una coppia di pompe.

La stazione di servizio con la coppia di pompe in Piazza S. Lorenzo a Giaveno (al centro a destra), cartolina storica degli anni '40

La stazione di servizio con la coppia di pompe in Piazza S. Lorenzo a Giaveno (al centro a destra), cartolina storica degli anni ’40

La loro caratteristica, tipica dell’epoca, consisteva nell’essere inglobate all’interno di una base decorata in fusione di ghisa, dello stesso tipo di quelle impiegate per i lampioni – ma anche per gli orologi stradali o le paline segnaletiche – che serviva da sostegno per una struttura cilindrica verticale dotata di due sportelli. Tramite questi si poteva accedere direttamente alla pompa e provvedere alla sua chiusura quando non era in funzione.  Alla sommità presentavano quasi tutte, quelle di Giaveno non fanno eccezione, un globo luminoso contrassegnato dal marchio della società petrolifera. In questo caso la dicitura Shell è riportata anche sull’esterno dello sportello.

È la conferma di come il marchio svolgesse già una funzione centrale; l’obiettivo era renderlo facilmente riconoscibile e quindi familiare, per ispirare nella gente quella fiducia che li avrebbe poi resi a lungo clienti fedeli. In quest’ottica si inquadra la presenza, ben visibile, del marchio sul globo luminoso.

Dettaglio delle pompe

Dettaglio delle pompe

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TABIANO IERI E OGGI – Nascita e sviluppo di una località termale

Posted by on Feb 7, 2022 in Arredo Urbano, Itinerari | 0 comments

“La bellezza per il benessere”è il titolo del n. 2, 2020 di Arredo & Città che abbiamo dedicato alle località termali italiane ed europee, ricostruendo, secondo il nostro angolo di visuale, il paesaggio urbano come si presentava all’epoca della loro espansione, con la ricchezza di manufatti in ghisa destinati all’illuminazione e all’arredo. Di Tabiano non avevamo parlato, e quindi utilizziamo il blog per arricchire di un altro tassello il quadro emerso dalle nostre ricerche e presentato sulla rivista [1].

Nel secondo decennio del ‘900 Viale Romagnosi a Salsomaggiore Terme (PR) – conosciuto come la promenade di una delle più famose e celebrate località di cura italiane – fu illuminato da candelabri in ghisa caratterizzati da pregevoli decori antropomorfi e vegetali. Dal momento che questi manufatti non esistono più, foto e cartoline d’epoca restano le uniche fonti a nostra disposizione per documentare la loro presenza non solo sulla promenade, ma anche davanti agli ingressi di diversi stabilimenti curativi, compreso l’edificio idroterapico di Tabiano [2].

Lampioni in ghisa davanti allo stabilimento termale di Tabiano, cartolina storica, 1939

Lampioni in ghisa davanti allo stabilimento termale di Tabiano, cartolina storica, 1939

Tabiano, situata a soli 5 km da Salsomaggiore, nel 1844 venne inserita a pieno titolo tra le stazioni termali europee, grazie soprattutto all’intervento di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma e moglie di Napoleone. Le proprietà delle sue acque erano note fin dal Seicento e per certo vennero utilizzate a scopo curativo dalle stesse truppe napoleoniche.

Maria Luigia, che all’interno del Ducato puntò a diffondere una cultura cosmopolita ed europea, incluse tra le sue strategie politiche, oggi considerate all’avanguardia, l’impegno nei confronti della sanità pubblica, che si tradusse tra l’altro nel desiderio di potenziare lo sfruttamento delle acque curative presenti sul territorio. Lei stessa dimostrava di essere un’esperta estimatrice di acque termali per il fatto che in giovinezza, a causa della salute cagionevole, era solita recarsi con la famiglia nelle villes d’eaux più alla moda d’Europa, soprattutto Aix les Bains e Baden Baden. Le relazioni chimiche pubblicate dai “suoi” scienziati, e ancora oggi consultabili, convinsero definitivamente la duchessa a investire sul centro di Tabiano per la ricchezza delle acque minerali che anche analisi recenti confermano, a dimostrazione della straordinaria immutabilità della fonte.

Salsomaggiore, i lampioni lungo Viale Romagnosi cartolina storica, 1932

Salsomaggiore, i lampioni lungo Viale Romagnosi cartolina storica, 1932

Il dottor Lorenzo Berzieri, scopritore del termalismo salsobromoiodico della vicina Salsomaggiore, fu il primo direttore dello stabilimento. Le acque venivano raccomandate non solo per faringiti, laringiti e bronchiti, ma anche per la cura, la conservazione e il recupero della voce degli artisti, tanto che i più grandi personaggi del panorama lirico internazionale iniziarono a darsi appuntamento proprio a Tabiano, inaugurando una tradizione che non è mai venuta meno. Dopo alterne vicende, dovute al succedersi dei gestori dello stabilimento e delle proprietà alberghiere ad esso collegate, il luogo fu scelto nel 1918 dal nuovo proprietario, il Comune di Milano, per ospitare una colonia per bambini. Ebbe così inizio la vocazione pediatrica di Tabiano che diede impulso allo studio sistematico delle patologie infantili ad indicazione termale.

L’intera proprietà venne venduta nel 1934 al Comune di Salsomaggiore, che solo nel
dopoguerra ne avviò il rilancio. La scienza idrologica, fino ad allora trascurata negli ambienti medici e accademici, probabilmente a causa delle grandi promesse chimico-farmacologiche di quegli anni, ebbe nuovo impulso soprattutto nelle patologie cosiddette “minori”. Con il diffondersi del concetto moderno di benessere complessivo, l’acqua minerale di Tabiano si afferma come un’acqua efficace e pressoché priva di effetti collaterali, che mantiene inalterate nel tempo le sue benefiche proprietà salutari.

 

[1] Le informazioni che abbiamo utilizzato per la redazione di questo articolo si trovano al link https://www.termeditabiano.it/it/le-terme-respighi

 

[2] Per maggiori approfondimenti su questi candelabri, si può consultare Arredo & Città 2 – 2020 “La bellezza per il benessere. Gli arredi in ghisa nelle città termali otto-novecentesche”  pp. 56-57  https://www.arredoecitta.it/it/riviste/la-bellezza-per-il-benessere/

 

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“Un restauro a prova di Unesco” – La balconata di Piazzale Michelangelo

Posted by on Ott 11, 2021 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Itinerari, Riqualificazione spazi urbani | 0 comments

Lo scorso mese di luglio Firenze ha trionfato nell’agenda Unesco. Dopo il riconoscimento di tutto il suo centro storico, già avvenuto in passato, è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’umanità anche la zona che si estende oltre la riva sinistra dell’Arno comprendendo, nello specifico, l’Abbazia di San Miniato al Monte, la chiesa di San Salvatore al Monte, le Rampe, i Giardini delle Rose e dell’Iris, Piazzale Michelangelo, straordinario belvedere che offre una vista mozzafiato sulla città.

Di quest’ultimo luogo, Neri Spa è orgogliosa di avere contribuito alla definitiva riqualificazione con il restauro delle oltre mille colonnine ottocentesche in fusione di ghisa che compongono la balconata. L’intervento l’ha fatta tornare all’antico splendore e alla sua funzione di cingere come una perfetta “corona” la grande piazza panoramica.

La balconata di Piazzale Michelangelo restaurata da Neri Spa

La balconata di Piazzale Michelangelo restaurata da Neri Spa

Per maggiori approfondimenti sulle operazioni di restauro, corredate da numerose immagini fotografiche, ma anche sulla storia della balconata – in particolare la fonderia produttrice, le Regie Fonderie di Follonica – invitiamo a consultare i link riportati sotto. Il primo dei due è una presentazione realizzata da Antonio Neri (Presidente di Neri SpA), mentre il secondo è un video curato sempre da Neri SpA.

https://service.neri.biz/System/109470/Neri_Services_Restoration_Projects_Restoration%20and%20reproduction_Florence_Piazzale%20Michelangelo_en_it.pdf

https://www.youtube.com/watch?v=hxTonPtfsXE&feature=youtu.be

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“Preesistenza, ambiente, continuità” – La Torre Velasca

Posted by on Set 16, 2021 in Architettura e Design, Arredo Urbano, Itinerari | 0 comments

Milano, primi anni Cinquanta. Nel centro storico, a sud del Duomo, le rovine provocate dalla Seconda guerra mondiale lasciano spazio a nuovi edifici i cui artefici sono tra i protagonisti della svolta moderna dell’architettura italiana: Asnago Vender e Luigi Moretti. Sono gli anni in cui si apre il cantiere della Torre Velasca, commissionata dalla Società Generale Immobiliare alla ditta milanese BBPR, fondata nel 1932 da Gian Luigi Banfi (1910-1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909-2004), Enrico Peressutti (1908-1976) ed Ernesto Nathan Rogers (1909-1969). Aperta al pubblico nel 1958, la torre è riconosciuta come un episodio cardine nella storia dell’architettura italiana del Novecento, e per molti versi conclude l’età del Movimento Moderno,  che si colloca tra i due conflitti ed è teso al rinnovamento dei caratteri, della progettazione e dei principi dell’architettura, dell’urbanistica e del design.

La Torre Velasca rappresenta non solo la più famosa delle realizzazioni di BBPR, che inaugura la stagione dei grattacieli milanesi, ma, in particolare, anche la più fedele materializzazione delle idee di uno dei suoi protagonisti, Rogers, allora impegnato in un processo di reinterpretazione dei fondamenti teorici della disciplina. Opponendosi apertamente all’idealismo della cultura architettonica italiana dei decenni precedenti, egli trae ispirazione dalla fenomenologia del filosofo Enzo Paci per ricollocare l’architettura nei suoi contesti e, in senso più ampio, in un continuum storico senza soluzione di continuità. Mentre il Movimento Moderno aveva più volte affermato la sua intenzione di staccarsi dal passato, Rogers crea con esso nuovi legami, per formulare l’idea di modernità intesa come evoluzione, piuttosto che come rivoluzione.

L’edificio milanese risponde dunque a un audace progetto contemporaneo per le sue dimensioni (106 m. di altezza), la sua struttura in cemento armato e le sue funzioni (uffici e appartamenti, oltre a pochi spazi commerciali). Allo stesso tempo la torre intende riprodurre “l’atmosfera” di Milano (altra parola cara agli autori) in modo da stabilire un dialogo con i suoi edifici storici, in primis la Cattedrale gotica e la torre del Filarete al Castello Sforzesco.

Osservandola si nota un progressivo passaggio da una struttura a blocco semplificato verso una maggiore articolazione dei volumi e complessità del linguaggio. Molte delle soluzioni adottate sono chiari accenni alla Milano antica, e più in particolare al Medioevo. È il caso, ad esempio, della sua forma “a fungo”, che ospita gli uffici nel fusto e gli appartamenti sulla la cima allargata. Al passato milanese fanno riferimento anche i semipilastri che compaiono su ogni prospetto, trasformandosi in aerei contrafforti, nonché la disposizione apparentemente irregolare delle aperture e i pannelli di rivestimento prefabbricati in marmo e clinker.

All’opera – nonostante sia risultata fin dalla sua creazione largamente incompresa e osteggiata (fenomeno che non si è placato nel corso del tempo, ancora oggi è da molti considerata uno scempio e una delle più brutte architetture del ‘900) – va riconosciuta la sua valenza storica, innegabile per almeno due ragioni: insieme al grattacielo Pirelli di Gio Ponti (1956-1960) incarna più di ogni altro edificio l’anima del rinascimento economico e culturale di Milano del dopoguerra. Allo stesso tempo è a partire proprio dalla torre Velasca che l’architettura italiana fa il suo ingresso nella stagione postmoderna.

Un altro dato interessante riguarda il fatto che furono gli stessi autori a progettare nel 1958 per l’omonima piazza sulla quale sorge la torre i particolari lampioni in acciaio dotati, ciascuno, di quattro sedute alla base. Sull’argomento si veda SS9 – Luce sulla via Emilia, in Arredo&Città 1-2018 , pp. 22-27 https://www.arredoecitta.it/it/riviste/ss9-luce-sulla-via-emilia/

Per maggiori approfondimenti sulla Torre Velasca:https://www.domusweb.it/en/buildings/torre-velasca.html?utm_term=Autofeed&utm_medium=Social&utm_source=Twitter

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Passeggiata a Central Park

Posted by on Set 1, 2021 in Arredo Urbano, Itinerari | 0 comments

Nel 1850 fu lanciato un concorso per la progettazione di un nuovo grande parco a Manhattan. Tra febbraio e marzo 1858 furono presentati 35 progetti; i commissari assegnarono il primo premio a quello degli architetti paesaggisti Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux. Nello stesso anno furono aperte al pubblico le prime aree del parco. Nasceva così il Central Park.

 

Il sito era inizialmente lontano dalle aree edificate della città: poco popolato ospitava piccole fattorie, usi industriali e abitazioni sparse tra aree paludose e colline rocciose. Ripulire l’area non fu semplice (vennero trasportati fuori dal parco circa 140.000 metri cubi di terra e rocce). Il piano intendeva evitare la simmetria e optare piuttosto per un design più pittoresco che comprendeva ampi prati, boschi, ruscelli e laghi, tutti collegati da una serie di percorsi tortuosi, una carrozzabile e una mulattiera.

Il lago nella sezione sud-occidentale del parco fu la prima area ad essere aperta al pubblico, seguita dalla passeggiata. Nonostante lo scoppio della guerra civile americana, si decise di continuare i lavori e presto fu completata anche la Terrazza di Bethesda, che rimane ancora oggi una delle zone più iconiche e conosciute del parco. Un altro punto di interesse è il Castello del Belvedere: originariamente inteso come torre di avvistamento a cielo aperto, l’intero complesso fu poi concepito come luogo da cui godere della vista del paesaggio circostante.

Tra il 1859 e il 1866, a Central Park furono costruiti 27 archi e ponti, tutti progettati dall’architetto paesaggista Calvert Vaux (Londra 1824 – New York 1895). Nel corso della sua attività professionale progettò e creò dozzine di parchi negli Stati Uniti dove introdusse nuove idee sul significato dei parchi pubblici durante il repentino periodo di urbanizzazione della nazione, un fenomeno che lo stimolò a focalizzarsi sull’integrazione di palazzi, ponti e altre forme di architettura nell’ambiente naturale. Per Central Park scelse con attenzione materiali differenti e motivi decorativi, individuando con cura, per ciascuno, la collocazione nel paesaggio. Dei tre ponti realizzati in ghisa decorata il “ponte gotico”, o ponte n. 28, situato sul lato nord del Bacino, è il più noto. Prodotto dalla  J.B. & W.W. Cornell Ironworks di New York  si caratterizza per le curve fantasiose dei suoi motivi in fusione che ne fanno una delle architetture più fotografate del Parco.

Per saperne di più  urly.it/3f9y-

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