Da Firenze a Città del Messico
Da oltre un secolo (febbraio 1907) Città del Messico dispone di un vero e proprio gioiello architettonico deputato allo smistamento della posta: Palacio de Correos. Si tratta di un’architettura mista, progettata dall’architetto italiano Adamo Boari, che richiama da un lato il gotico veneziano e dall’altro l’art nouveau. Chi visita la metropoli messicana resta affascinato dal suo esterno grandioso e da un interno che, per eleganza, non è da meno. Lo si deve soprattutto al fatto che Boari pensò di avvalersi del contributo di un prestigioso stabilimento, sempre italiano, per “rivestire” di ghisa artistica bronzata i numerosi marmi impiegati per dar vita alle scale, ai banchi e ai tavoli dell’edificio: la Fonderia del Pignone
Il tutto rivela un’altissima maestria. Colpiscono, soprattutto, gli elementi decorati che compongono le ringhiere dello scalone di rappresentanza e le balaustre del primo piano, così come l’ossatura metallica che accoglie l’ascensore. Un ruolo molto importante dal punto di vista estetico è affidato anche all’illuminazione, che si materializza nella presenza di numerose lampade a forma di sfera, sostenute in parte da mensole a muro e da lampadari, in parte dagli stessi montanti delle ringhiere e delle balaustre.

Palacio de Correos, dett. di interno, by Diego Delso, “Diego Delso, delso.photo, LicenseCC-BY-SA”, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30839466
La Fonderia del Pignone nasce a Firenze negli anni in cui Leopoldo II apre per la prima volta la Toscana all’Europa, favorendo il mutamento in senso industriale dei metodi di lavorazione fino a quel momento ancora artigianali. Con la realizzazione di ponti sospesi e della moderna chiesa di San Leopoldo a Follonica - il cui pronao è interamente in ghisa – lo stabilimento fiorentino si impone a livello nazionale, e non solo. Lo dimostra la presenza all’estero di manufatti di sua produzione, come quelli sopra descritti, elementi di arredo così eleganti e finemente rifiniti da fare concorrenza a quelli usciti dalle più famose fonderie europee, come quelle francesi
Alla Fonderia del Pignone abbiamo dato ampio spazio sul n.1|2004 della rivista Arredo & Città https://www.arredoecitta.it/it/riviste/le-fonderie-toscane/
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“Nel Paesaggio. Itinerari leggeri alla scoperta del territorio” è il titolo del numero di Arredo & Città, pubblicato di recente dalla Fondazione Neri, che affronta il tema dei territori nella loro complessità, territori che si trasformano in paesaggio nel momento in cui si decide di percorrerli con l’intento di esplorarli. L’operazione risulta più efficace se si adotta un incedere lento, a piedi o in bicicletta (https://www.arredoecitta.it/it/riviste/nel-paesaggio-itinerari-leggeri-attraverso-il-territorio/).
Proprio la bicicletta, mezzo del tutto sostenibile, permette ogni anno all’Associazione sportiva La Storia in bici di organizzare nel mese di settembre lungo l’Italia un viaggio cicloturistico dalle caratteristiche spiccatamente storiche e culturali. Patrocinata dal Ministro per i Beni Culturali e per il Turismo, l’edizione 2020 (6-13 settembre) è partita da Cuneo con arrivo a Napoli, dopo aver toccato le località di Quarto dei Mille, Luni, Carrara, San Gimignano, Siena, Orvieto, Viterbo, Tivoli, Fiuggi, Mignano, Monte Lungo e Roccamorfina.
Nelle intenzioni l’itinerario doveva essere un omaggio a quell’italian style diventato uno straordinario elemento qualificante il nostro paese nel mondo, ma mai come quest’anno la pedalata è stata affrontata anche per lanciare un segnale rivolto a tutti noi: quello di non mollare e di aiutarci a vicenda a sostenere una grande nazione che sta cercando faticosamente di uscire dalla fase più difficile della sua storia recente e di ritrovare se stessa.
Gli ottanta ciclisti che hanno preso parte a questa “avventura” sono stati accolti a Viterbo (tappa di metà percorso) da Umberto Laurenti, vice presidente della Associazione “Svegliamoci Italici” che raggruppa prestigiosi esponenti nazionali della cultura, dell’arte, dell’imprenditoria, del food, della moda e della musica. Dalla città dei Papi, poi, il messaggio è stato portato e diffuso a colpi di pedale fino al Vesuvio.
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Cool gas ad Atene
Officine, gassificatori, ciminere, gasometri, sono gli emblemi indiscutibili della rivoluzione industriale. I gasometri assolvevano alle funzioni di stoccaggio, deposito e regolazione della pressione del “gas di città”, ottenuto dalla combustione del carbone fossile – coke – e destinato all’uso domestico (ad esempio il riscaldamento) e pubblico, per l’ illuminazione delle strade. Fu lo stesso ingegnere scozzese William Murdoch, pioniere negli studi sulla produzione del gas illuminante, a battezzarli nel 1800 con il nome di syngas: strutture a intelaiatura metallica, a forma di silo, capaci di contenere al loro interno una miscela di gas composto da monossido di carbonio e idrogeno, con l’aggiunta di metano e anidride carbonica. Per oltre un secolo interi quartieri delle moderne città europee vennero destinati ad ospitare i gasometri, fino all’inizio della diffusione su grande scala del metano da un lato e dell’energia elettrica dall’altro. Tali depositi, divenuti obsoleti, furono messi in disuso o demoliti.

Atene, il centro culturale Technopolis, nel distretto di Gazi, by G Da, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53249313
Il destino è stato più benevolo con il gasometro della città di Atene, ubicato nel distretto di Gazi, il sito della ex-centrale del gas,aperta nel 1857, dalla quale prende appunto il nome. Il recupero dell’intera area, che occupa una superficie di oltre 30 mila mq, ha trasformato l’ex quartiere industriale in un centro multiculturale e nel luogo più “cool” della capitale greca. Raggiungibile a piedi dal Ceramico (importante sito archeologico), la direzione è indicata dalle alte ciminiere che introducono a una grande piazza dove ogni sera, soprattutto durante la stagione estiva, va in scena il rito notturno della movida ateniese tra locali, tavoli all’aperto, cinema e musica. Ma ad attirare qui anche i turisti è soprattutto Technopolis, un museo diffuso che occupa gran parte degli edifici recuperati, gasometro compreso. Dedicato alla storia dell’area, ma aperto anche a mostre temporanee e concerti, dal 2013 ospita il Museo Industriale del Gas, che permette di ripercorrere la storia del gas nella città di Atene e dell’antica fabbrica ad esso dedicata.

L’ex gasometro di Atene, by Dimorsitanos – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37202399
Triberg: dall’acqua il primato della luce
Sorge alle pendici di una valle incantata nel cuore della Foresta Nera. Il piccolo borgo di Triberg è attraversato dal fiume Gutach, le cui acque danno vita alle cascate più alte della Germania: 163 metri di altezza suddivise in 7 salti che si infrangono su rocce granitiche emettendo rombi assordanti. La visita prevede diversi percorsi, da quelli semplici ai più articolati per camminatori esperti, ma per tutti l’apertura serale, fino alle 22, offre uno spettacolo suggestivo di acqua e luci.
A proposito di luce, il paese vanta un altro primato. Si tratta, infatti, del primo centro tedesco ad aver introdotto l’illuminazione elettrica, grazie proprio allo sfruttamento delle acque del fiume. Dai primi anni del ‘900 la nuova rivoluzionaria fonte luminosa sostituisce progressivamente il gas nell’illuminazione pubblica cittadina. Strade e piazze si accendono di una luce bianca e potente, mai vista prima di allora. Le lampade sono sostenute da mensole a muro e, soprattutto, da alti pali in ferro e ghisa con cima a pastorale. L’innovazione tecnologica corrisponde al periodo di maggior sviluppo di Triberg; lungo la strada principale è un susseguirsi di case con facciate affrescate e attività commerciali caratterizzate da insegne in ferro lavorato.
Molti sono i suoi laboratori artigianali che attirano ancora oggi migliaia di turisti per poter ammirare, o acquistare, un prodotto tipico della zona: gli orologi a cucù. Triberg è collocata sulla Strada degli orologi della Foresta Nera, un itinerario ad anello di ca. 110 km che può essere percorso in auto, moto, o ancora meglio in bicicletta. A partire dal XVII secolo la Foresta Nera si impone in Europa come il più importante luogo di produzione di questi particolari oggetti. All’attività artigianale vera e propria si affiancano oggi infrastrutture turistiche come musei, negozi, locande che sorgono nei tipici villaggi dalle case con i tetti spioventi di pietra.

Un grande orologio a cucù sulla facciata di un edificio di Triberg, foto by JuergenG – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7786624
Trieste, sul molo la storia dell’illuminazione
Trieste è tra le poche fortunate città che sono riuscite a salvare gran parte del proprio patrimonio storico di arredo urbano in ghisa. Mirati interventi di restauro, compiuti in anni recenti, hanno riguardato anche i pali destinati all’illuminazione delle banchine portuali, in particolare quelli collocati sul molo Audace, a pochi passi dalla centralissima piazza Unità d’Italia.
Rivoluzionari per l’epoca, considerato il fatto che funzionavano elettricamente (l’illuminazione elettrica appare la prima volta a Trieste nel 1898) essi vennero dapprima montati su di un basamento in pietra per poi subire alcune modifiche a partire grosso modo dagli anni ’20. La più rilevante consistette nell’inserimento di una nuova base in sostituzione del precedente piedistallo, questa volta realizzata, come il resto del manufatto, completamente in ghisa. La cima, invece, non solo restava sempre la stessa, ma diventava l’elemento caratterizzante, capace di contraddistinguere un elevato numero di esemplari triestini presenti in altre importanti zone del centro storico.
La sua caratteristica forma a “pastorale”, termine che deriva dal fatto di assomigliare al bastone ricurvo impiegato dai vescovi nelle principali cerimonie liturgiche, ritorna anche sui pali di piazza Unità d’Italia, così come su quelli delle piazze Goldoni e della Borsa, davanti alla facciata del Teatro Verdi o lungo il Corso. Sullo stelo verticale, chiuso da una pigna alla sommità, si innesta dunque questo braccio a volute, dalle linee armoniche ed eleganti, che funge da sostegno per il corpo luce vero e proprio costituito da un cilindro in rame a cui è avvitata una grande lampada a sfera.
Cartoline e foto d’epoca documentano ampiamente la presenza di questi arredi sul molo e tra queste, quelle più antiche, ci svelano un’altra curiosità: nella seconda metà dell’800 il luogo era illuminato da paletti artistici in ghisa di piccole dimensioni, montati sempre su basamenti lapidei, ma sormontati da una lanterna funzionante a gas. A proposito del gas e della sua iniziale “convivenza” con l’elettricità, si apprende che alla vigilia della Grande Guerra le nuove lampade elettriche erano solo 150, e fuori dal centro continuavano ad ardere le fioche luci dei fanali a gas.
Un ultimissimo aspetto riguarda il nome del molo Audace. In origine si chiamava San Carlo e nell’800 fungeva da attracco per i piroscafi e le imbarcazioni mercantili. Il 3 novembre 1918, alla fine della guerra, la prima nave della Marina Italiana ad entrare nel porto di Trieste e ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace. In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato nome al molo, chiamandolo appunto Audace. Col trascorrere del tempo e lo spostamento del traffico marittimo in altre zone, il molo si è trasformato in un luogo di passeggio molto amato dai triestini, una passerella di grande fascino protesa sul mare.
Read MorePoseidone a New York
Probabilmente a New York non esiste nessun altro oggetto ornamentale in ghisa che possa competere in bellezza con il decoro della recinzione esterna del Dakota Building. Straordinario prodotto dell’arte fusoria in ghisa del XIX secolo, è stato realizzato dalla Hecla Iron Works, importante stabilimento americano specializzato in complementi per l’architettura. Il gruppo scultoreo, che ritorna più volte a impreziosire la balaustra, consiste di un volto umano barbuto dai tratti realistici particolarmente severi, spalleggiato da “fantastici assistenti”: una coppia di mostruose creature animali intente a stringere tra le fauci il tubolare poggiamano della balaustra stessa.
Per gli abitanti della Grande Mela non c’è alcun dubbio: il volto rappresentato è quello di Poseidone. In effetti per gli antichi greci il dio del mare era noto per il carattere cupo e litigioso, bastava un niente per irritarlo e spingerlo a scatenare disastri lungo le coste. Per punire i mortali oltre alle calamità naturali faceva risalire in superficie dagli abissi i suoi fidati mostri marini capaci di distruggere ogni cosa.

Dakota Building, balaustra in ghisa, Ingfbruno – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29692419
Il repertorio in ghisa che arricchisce gli esterni dell’edificio non finisce però qui: fanno bella mostra di sé anche mensole reggi lampada, candelabri, vasi ornamentali, cancelli, in particolare quello monumentale dell’ingresso principale. Trattandosi del Dakota Building (1884) si può dunque affermare che per questo palazzo, rivoluzionario sotto molti aspetti, si sia fatto largo utilizzo del materiale ritenuto a sua volta il più rivoluzionario e moderno di quegli anni, non solo dal punto di vista tecnico-strutturale, ma anche, e soprattutto, ornamentale.
A rendere ancora oggi famosa questa costruzione è il fatto che si tratta del primo condominio residenziale della storia. Per l’epoca il concetto di condominio rappresenta un’assoluta novità poiché a vivere in singoli appartamenti, spesso malsani e sovraffollati, erano soltanto le classi inferiori; l’alta società era solita risiedere in grandi abitazioni unifamiliari. Il Dakota, invece, a discapito della sua originaria posizione isolata[1] e distante dalla frenesia del centro di Manhattan, era un lussuosissimo condominio dotato di ogni comfort: grandi ambienti, materiali e finiture di pregio, attrezzature moderne per le cucine e i bagni, luce elettrica ovunque. Per questo ebbe un grande successo di pubblico, basti pensare che tutti gli appartamenti furono assegnati prima del suo completamento. Il Dakota divenne ben presto sinonimo di status sociale, il nuovo simbolo per l’alta società di New York, dove acquistare, o quanto meno affittare, un appartamento come residenza di città.
[1] Una leggenda metropolitana vuole che il suo nome derivi dal fatto che al tempo in cui l’edificio venne costruito, l’Upper West Side di Manhattan era scarsamente abitato e quindi considerato remoto quanto il territorio del Dakota.

Dakota Building, New York, Ajay Suresh from New York, NY, USA – The Dakota, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80475406
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