Luce

La luce artificiale come moderna chiave di racconto – La Cisterna Basilica di Istanbul

Posted by on nov 16, 2022 in Arte e Luce, Itinerari, Luce | 0 comments

Oggi è senza dubbio uno dei monumenti simbolo di Istanbul e nel corso degli anni ha raggiunto numeri di visitatori paragonabili a quelli del Louvre e del Colosseo. La Cisterna Basilica di Istanbul (Yerebatan Sarayi in lingua turca) risalente all’epoca di Costantino e ampliata nel 532 dall’imperatore Giustiniano, è una monumentale opera idraulica ipogea che assicurava l’approvvigionamento idrico al palazzo imperiale e ai luoghi limitrofi.

Con una superficie di 140 x 70 m. e ritmata da ben 336 colonne alte 9 metri disposte su dodici file. È stata da poco riaperta al pubblico dopo un progetto di restauro firmato dallo studio Atelye 70 di Istanbul insieme agli studi, entrambi romani, Insula Architettura e IngegneriaStudioillumina.

L’aspetto fondamentale dell’intervento ha riguardato proprio l’introduzione di un nuovo concetto di illuminazione.  Attraverso l’uso sapiente della luce artificiale si è riusciti infatti ad esaltare le qualità architettoniche ed estetiche di questo luogo straordinario e unico.

Dal punto di vista concettuale la narrazione della luce prevede diversi scenari percettivi. Il percorso di andata è un’immersione in una sorta di “foresta di pietra” svelata solo dal controluce, simile a quella che doveva essere l’esperienza dei primi esploratori scesi nel sottosuolo. Tale effetto è ottenuto mediante un solo proiettore a fascio ellittico, posizionato dalla parte opposta rispetto alla direzione di percorrenza, che illumina dal basso ogni singola colonna. L’utilizzo di una diminuzione graduale dei livelli di luminosità, a mano a mano che ci si addentra,porta l’esperienza del visitatore verso un’esplorazione quasi archeologica, più intima e personale della cisterna.

La Cisterna Basilica illuminata (Di Kurmanbek - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122644443)

La Cisterna Basilica illuminata (Di Kurmanbek – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122644443)

Le colonne con le teste di Medusa rappresentano la fine del viaggio di andata e l’inizio del viaggio di ritorno. Qui avviene il passaggio fra il mondo orientale (stato di luce sottile e delicato) e il mondo occidentale (stato di luce materica). Da questo momento in poi il mondo bidimensionale si interrompe per lasciare spazio a quello tridimensionale che svela la cisterna nel suo lato strutturale e architettonico. A metà del percorso, in maniera inattesa e suggestiva, la cisterna si tinge delle atmosfere caratteristiche della Turchia, passando dalle cromie dell’acquamarina fino a quelle dell’ambra.

Ad aggiungere fascino è anche la possibilità di utilizzare un nuovo tipo di camminamento appositamente studiato che si snoda su leggere passerelle metalliche allestite in prossimità della base del monumento. Il visitatore si trova così a camminare quasi sul pelo dell’acqua e ad ammirare la bellezza delle volte sovrastanti.

(Metuboy - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122151837)

(Metuboy – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=122151837)

Progetto illuminotecnico:

Studioillumina (Adriano Caputo, Federica Cammarota, Francesca Campagna, Paolo Di Pasquale, Katia Ferrulli, Filippo Marai)

Progetto architettonico:

Atelye 70 (Doğu Kaptan, Marco Lombardini, Seray Doğan, Fatma Gençdoğuş, Murat Er, Gizem Bakioğlu. Musa Beyzade); Studio di Architettura e Ingegneria Insula (Eugenio Cipollone, Paolo Diglio, Roberto Lorenzotti, Paolo Orsini)

Direzione lavori: Atelye 70
Impresa forniture speciali e impianti elettrici: Tepta Lighting

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Una poesia dipinta di luce e buio

Posted by on set 8, 2022 in Arte e Luce, Luce | 0 comments

Il giorno ha preso il posto della notte o è la notte ad essersi sostituita al giorno? Si prova un senso di smarrimento nell’ammirare L’Empire des lumières, una delle più celebri ed emblematiche opere di Réne Magritte (1898-1967), artista che viene considerato il maggior esponente del surrealismo belga.

Al di là dall’essere una rappresentazione fortemente realistica e ricca di dettagli paesaggistici, l’aspetto che più colpisce è in effetti l’atmosfera estremamente misteriosa e spiazzante. Ciò è dovuto alla presenza simultanea della notte e del giorno. La prima avvolge nelle tenebre la casa, la strada, gli alberi, rischiarati solo dalla luce artificiale emessa dall’unica lanterna di un lampione, volutamente posto al centro della scena, e dal riverbero delle luci interne all’edificio che traspaiono da due finestre; il secondo, invece, caratterizzato dal cielo azzurro punteggiato da nuvole bianche.

Gli occhi, la ragione, l’esperienza quasi si rifiutano di accettarne la pacifica convivenza, ma per fortuna ci viene in soccorso lo stesso Magritte che spiega: “ Ciò che è rappresentato nel quadro sono due idee diverse, vale a dire, esattamente, un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Questa evocazione della notte e del giorno mi sembra dotata del potere di sorprenderci e incantarci. Io chiamo questo potere: la poesia”.

L’opera è dunque una sorta di sogno poetico che, secondo le teorie freudiane, abbracciate dagli artisti surrealisti, è inteso come l’essenza dell’uomo e per questo la sua rappresentazione diventa fondamentale.

Vedi l’opera nella collezione Peggy Guggenheim di Venezia:

https://www.guggenheim-venice.it/it/arte/opere/empire-of-light/

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1922-2022: AUGURI RICCIONE!

Posted by on mag 19, 2022 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Itinerari, Luce | 0 comments

 

Esattamente un secolo fa Riccione diventava Comune: un Regio Decreto ne sancì la definitiva indipendenza dalla città madre, Rimini. La propensione al turismo balneare, che si era manifestata già alcuni decenni prima grazie all’intervento di illuminati pionieri, conobbe un’accelerazione improvvisa proprio nel 1922 con il conferimento della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini che aveva scelto Riccione come residenza estiva di famiglia. Il volto elegante e patinato del regime, tra feste, spettacoli e ricevimenti di Capi di Stato, favorì certamente la nascita di un’icona del turismo nazionale, anche se il duraturo successo di una piccola cittadina fu piuttosto l’effetto della laboriosità infaticabile dei cittadini di Riccione negli anni del dopo guerra e del boom economico [1]. Con l’appellativo di “perla verde dell’Adriatico” la città si apprestava così a diventare una meta di caratura internazionale, conosciuta e celebrata in tutto il mondo.

Viale Ceccarini, primi del '900

Viale Ceccarini, i primi pali artistici in ghisa per l’illuminazione (inizio del ’900)

Viale Ceccarini illuminato, 1940

Viale Ceccarini illuminato, 1940

Le origini della vocazione turistica di Riccione risalgono alla fine dell’Ottocento e sono legate alla figura della sua più illustre benefattrice. Pochi tra coloro che passeggiano su Viale Ceccarini sanno che il nome del luogo più rinomato della città è appartenuto a una signora newyorkese, Maria Boorman Ceccarini, la quale, dopo la morte del marito – affermato medico italiano impegnato per anni come commissario di sanità nella metropoli statunitense – si adoperò per il miglioramento delle condizioni dei riccionesi e di quella che era ormai diventata la sua città di adozione. Sostenne finanziariamente la Società Operaia di Mutuo Soccorso e la Biblioteca Popolare Circolante, inaugurò un Giardino d’Infanzia, distribuì per anni trecento minestre giornaliere ai più bisognosi. Contribuì anche alla realizzazione del porto e alla strada di accesso all’approdo.

Provvide persino – ed è il dato per noi più interessante – all’illuminazione pubblica del paese con l’istallazione di numerosi lampioni in ghisa. In origine i manufatti poggiavano su basi artistiche e reggevano cime a forma di pastorale. Con il passare del tempo saranno sostituiti da pali più semplici, spesso realizzati in acciaio, e da armature a tesata. Molte tipologie sono ancora riconoscibili nelle cartoline d’epoca che mostriamo.

Viale Ceccarini, 1960

Viale Ceccarini, 1960

Viale Ceccarini, anni 80

Viale Ceccarini, anni 80

Viale Ceccarini 1980

Viale Ceccarini 1980.  Sulla destra un palo in acciaio regge un corpo illuminante a forma di “fungo”

Risale all’ottobre del 1911 il cambio di nome del viale, da “Viola” a Ceccarini, un omaggio di tutta Riccione all’amata concittadina. La strada – sulla quale affacciano gli edifici principali e che si apre a una sua estremità sul lungomare – fu ampliata e venne dotata di marciapiedi e di lampioni. Si procedette inoltre con la piantumazione di quei pini che ancora oggi regalano ombra e refrigerio nelle calde giornate estive.

La città e il suo viale crescevano insieme alla notorietà del luogo. Il viale fra gli anni’60 ‘70 iniziò ad essere conosciuto con l’appellativo di “Montenapoleone dell’Adriatico”, il che la dice lunga sulla sua eleganza, legata anche ai brand del lusso, ancora visibili con le loro vetrine che si susseguono lungo la passeggiata. Una città e un viale, simboli da un secolo di vacanza e di tendenze alla moda, che stanno oggi sfumando nella concorrenza di infinite proposte turistiche che animano la Riviera Adriatica e che ogni anno si presentano con nuove accattivanti attrazioni.

Riccione, lungomare, nuovi lampioni realizzati da Neri Spa. Progetto: Polistudio Aes e Comfort Hub. Lighting design: Chiara Tabellini

Riccione, lungomare, nuovi lampioni realizzati da Neri Spa. Progetto: Polistudio Aes e Comfort Hub. Lighting design: Chiara Tabellini

 

[1] Beppe Boni, Riccione. La bellissima del mare 100 anni di storia (Vol. 1), Editoriale Nazionale S.r.l., Bologna 2022, p. 31

 

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Luce e buio nella città contemporanea

Posted by on mar 29, 2022 in Arte e Luce, Installazioni artistiche, Luce | 0 comments

Occupandoci di illuminazione, ci siamo spesso trovati a contrapporre la luce al buio. Oggi, anche grazie ai contributi di alcuni lighting designer che hanno scritto per Arredo & Città, possiamo affermare che nel progetto di una città, dove il giorno e la notte non siano più come in passato così radicalmente distinti, questi due elementi debbano piuttosto integrarsi https://www.arredoecitta.it/wp-content/uploads/2021/06/Neri_Fondazione-Neri_AC_Arredo-Citta%CC%80_2021-N.1_Nature-and-Artifice.pdf

Alcune installazioni luminose che hanno una connotazione esclusivamente artistica insistono su questa idea.  È il caso di Lucerna, inserita temporaneamente nel cortile principale del Monastero Purissima Concepció a Tortora, Spagna, in occasione del festival di architettura A Cel Obert 2021. Progettata da Bouzas. del Aguila, uno studio di architettura sperimentale con sede a Madrid consiste in una lampada monumentale che letteralmente trasforma, con la luce e il colore, l’edificio del XVII secolo. Un’altezza di oltre sei metri e una superficie di 55 mq, fanno dell’installazione un intenso contenitore di luce le cui colorazioni travalicano i confini del monastero, fino a raggiungere la strada.

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_02  Foto: ©Antonio Bouzas

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_02
Foto: ©Antonio Bouzas

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_04 Foto: ©Antonio Bouzas

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_04. La scaletta sotto l’installazione
Foto: ©Antonio Bouzas

Il concept del progetto si basa sulla doppia interpretazione della parola lucerna – spiegano gli autori. Oggi il termine lucerna definisce quell’apertura che si trova nella parte superiore di un edificio e che serve a introdurre la luce naturale in un ambiente. In passato era usato anche dai romani per denominare quegli oggetti per lo più in terracotta che nel buio davano luce; in altre parole, le prime lampade della storia.

Il progetto esplora la possibile intersezione tra le due accezioni, offrendo una reinterpretazione in chiave contemporanea delle lampade classiche che illuminavano gli spazi sacri più iconici della storia, dalla Cattedrale di Reims alla Moschea di Santa Sofia.

In collaborazione con la lighting designer Ana Barbier, gli architetti hanno realizzato la monumentale lucerna con sei anelli di legno, rivestiti da una striscia di luce a led sui bordi interni. Pende dal cornicione del patio principale del monastero attraverso una struttura leggera composta da fili e tenditori, mentre una membrana ondulata in fibra di vetro traslucida copre gli anelli per guidare la luce naturale e artificiale a terra. Una piccola scala proprio sotto l’installazione porta i visitatori all’interno della lampada, permettendo loro di scoprire anche di giorno il cielo aperto incorniciato dall’installazione.

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_06 Foto: ©Antonio Bouzas

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_06. La luce invita ad entrare e a scoprire un edificio storico
Foto: ©Antonio Bouzas

Per ricollegarci alla premessa un’ installazione temporanea come quella qui descritta, che “gioca” con la luce artificiale rivelandone il potere di trasformare e arricchire la percezione di un luogo, non può non indurci a pensare che un’illuminazione confortevole non sia solo quella che, secondo una logica esclusivamente funzionale, riduce al massimo l’oscurità. La città notturna è uno spazio da vivere diversamente dal giorno, non solo perché cambiano le attività, ma soprattutto se si possono scoprire spazi nuovi, o che tali si mostrano grazie a inesplorati contrasti e alle ricercate sfumature di luce e ombra.

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_09 Foto: ©Antonio Bouzas

metalocus_manuel_bouzas-santiago_del-aguila_lucerna_09
Foto: ©Antonio Bouzas

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Il volto triste della luce

Posted by on mar 15, 2021 in Il mondo della ghisa, Luce | 1 comment

Per la città correva un uomo nero.

Si arrampicava a spegnere i lampioni.

Lenta bianca l’aurora si avvicinava,

salendo assieme all’uomo sulla scala.

Là dov’erano quiete, morbide ombre,

le gialle strisce dei lampioni a sera,

la prima luce ha coperto i gradini,

penetra da tendine e da spiragli.

Ah, com’è scialba la città sull’alba!

L’omino nero piange sulla via.

 

Pietroburgo, Russia, 1912

L’uomo nero che al sopraggiungere dell’aurora si aggira di corsa per le strade e i vicoli della città è il protagonista di questa poesia di Aleksàndr Blok, uno dei più grandi poeti russi del ‘900. L’uomo nero è un lampionaio, così soprannominato perché indossa una divisa scura come la notte; la sua è una corsa contro il tempo che si ripete, identica, ogni giorno. Prima che il cielo si rischiari deve spegnere tutti i lampioni del quartiere di sua competenza. È normale che in città i lampioni si accendano la sera e si spengano all’alba, quando la luce naturale inizia a illuminare i gradini delle case e si diffonde poi all’interno attraverso le aperture e le tende alle finestre. L’unica differenza rispetto ad oggi è che a quei tempi non esisteva ancora l’elettricità e i lampionai erano gli unici addetti all’accensione e allo spegnimento dei lampioni stradali. Un mestiere sentito dai più come una missione, un’attività di vitale importanza per la città e la sicurezza dei suoi abitanti. Un incarico così importante che a parte la responsabilità li doveva sicuramente riempire di orgoglio e soddisfazione.

Eppure l’uomo nero di Blok è sorpreso a piangere lungo la via. Nel lampionaio si incarnano i sentimenti stessi dell’autore che era solito camminare la notte per le strade di Pietroburgo, accompagnato solo dalle luci dei fanali che illuminavano, oltre alle eleganti vie e ai bei palazzi, anche i vicoli gelidi più poveri, più sporchi, dove capitava spesso di imbattersi in disperati senzatetto o in pericolosi criminali. La città gli appariva dunque bellissima, ma allo stesso tempo corrosa dalla miseria e dalla desolazione. Da qui il pianto, la sofferenza del lampionaio, che per motivi di lavoro conosce e vive la città come pochi, ed è testimone di tutte le sue contraddizioni.

San Pietroburgo, illuminazione del ponte San Nicola, cartolina storica

San Pietroburgo, illuminazione del ponte San Nicola, cartolina storica

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Luci dall’antichità

Posted by on gen 13, 2021 in Itinerari, Luce | 0 comments

Lo scavo del Grande tumulo funerario di Verghìna (Grecia settentrionale) condotto nel 1977 dal professore Manolis Andronikos dell’Università di Salonicco, ha portato al rinvenimento di tre sensazionali tombe reali macedoni. La scoperta archeologica – in assoluto una delle più importanti del secolo scorso e che è valsa l’inserimento nel 1996 del sito nella lista UNESCO – sta appassionando da alcuni decenni la comunità scientifica internazionale e il grande pubblico per la  probabilità, assai fondata, che proprio una di queste sepolture possa ospitare i resti cremati di Filippo II (382-336 a.C.) il grande sovrano macedone padre di Alessandro Magno.

Tra i ricchissimi oggetti che componevano il suo corredo funebre ne sono stati ritrovati due che avevano la funzione di illuminare, di “fare luce”. Il primo consiste in un lucerniere di bronzo decorato da una meravigliosa testa di Pan e dotato di manici nella parte superiore e zampe leonine in quella inferiore. Ma l’elemento più caratterizzante è la presenza, sui 2/3 della sua superficie, di centinaia di piccoli fori (diametro 0,2 cm) disposti per lo più in gruppi diritti paralleli. La sua forma e la sua collocazione nella tomba, vicino ad altri contenitori per l’acqua impiegati per il lavaggio e la cura del corpo, spingono a ipotizzare che il lucerniere servisse proprio durante il bagno con la funzione di proteggere la fiamma della lucerna dall’acqua, che poteva ricadere su di essa e spegnerla. La lucerna era collocata al suo interno su una base metallica e tramite i numerosi fori doveva diffondere all’esterno suggestivi riverberi.

Lucerniere in bronzo della "Tomba di Filippo" (metà IV sec. a.C. ca.) Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos) Zanetti, 1997

Lucerniere in bronzo della “Tomba di Filippo” (metà IV sec. a.C. ca.) Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos) Zanetti, 1997

Il secondo oggetto è rappresentato da una torcia in bronzo a forma di cilindro cavo (h. 30 cm – diametro 7 cm) impreziosita al centro da una fascia con motivo a spirale e a piccoli cerchi. All’estremità inferiore è attaccato un elemento tubolare in ferro di forma conica che serviva da alloggio per un bastone di legno. Grazie a questo prolungamento essa poteva essere alzata ad una certa altezza al di sopra del portatore. All’interno della torcia sono state individuate tracce di annerimento prodotte dal fumo della combustione.

La presenza di un tale oggetto all’interno di una tomba è un fatto del tutto unico e eccezionale per cui non è possibile conoscerne l’esatta destinazione anche se le fonti antiche possono venirci in soccorso: sappiamo, infatti, che a Sparta il “portatore di fuoco” e la torcia rappresentavano un simbolo sacro di guerra da porre sempre in prima linea insieme al re. Se pensiamo a quanti elementi in comune avevano le usanze spartane e macedoni potrebbe non essere di difficile interpretazione la presenza di questo oggetto nella tomba di un re macedone come Filippo, che per di più fu anche un grande condottiero.

Torcia in bronzo per il "portatore" del fuoco sacro. Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos), Zanetti, 1997

Torcia in bronzo per il “portatore” del fuoco sacro. Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos), Zanetti, 1997

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