Il lampione sulla Linea Gustav

Posted on Lug 27, 2020

Ortona, dicembre 1944. Dopo quattro giorni di furiosi combattimenti le truppe alleate entrano in città, ridotta ormai a un cumulo di macerie. La località abruzzese è posta all’estremo confine orientale della Linea Gustav, fortificazione difensiva voluta da Hitler che taglia in due l’Italia partendo dalla foce del Garigliano, sul Tirreno, fino all’Adriatico, con termine proprio ad Ortona. A nord dello sbarramento si trova il territorio in mano ai nazi-fascisti, mentre a sud quello occupato dagli Alleati. L’ordine impartito dallo stesso Führer “la fortezza di Ortona deve essere difesa fino all’ultimo uomo” è tassativo, a prova dell’importanza strategica del luogo. La sua conquista, infatti, aprirebbe agli Alleati la strada per Pescara e Avezzano, e da lì per Roma. Sulla città si abbattono più di un milione di proiettili di artiglieria. Sfondata la linea difensiva i soldati canadesi si riversano in città ingaggiando un scontro col nemico casa per casa. Il bilancio finale, che porta alla liberazione di Ortona, è drammatico: 800 caduti tedeschi, 1300 civili, 1400 canadesi.

Un’immagine di quelle giornate è immortalata su una cartolina storica conservata nell’Archivio della Fondazione Neri. Alcuni fanti del 22° reggimento Seaforth Highlanders avanzano per le vie distrutte del centro; alla loro sinistra, tra un cannone e un carro armato, è ben riconoscibile la porzione inferiore della colonna di un lampione impiegato per l’illuminazione pubblica. Non si tratta di un pezzo qualsiasi, bensì di quello che sopravvive di una delle tipologie più interessanti, e in assoluto più eleganti, di tutta la produzione ottocentesca italiana.

Dicembre 1944, i soldati canadesi entrano ad Ortona. Al centro si riconosce parte del candelabro storico

Dicembre 1944, i soldati canadesi entrano ad Ortona. Al centro si riconosce parte del candelabro storico

Il palo, funzionante originariamente a gas, è stato pensato per reggere due o più mensole con relativi corpi illuminanti. Si compone di due sole parti: la base e una colonna-stelo, quest’ultima realizzata in un’unica fusione di squisita fattura. La colonna è completamente rivestita da una variegata decorazione vegetale, con una successione ininterrotta di foglie d’acanto, di quercia e di vite: le foglie d’acanto, subito al di sopra dell base, hanno l’estremità che accenna a piegarsi verso l’alto, mentre assai più ripiegate verso il basso si mostrano le foglie di palma che appaiono come un fiore che sta per sbocciare. Essendo le foglie ripiegate fuse insieme alla colonna, e non applicate successivamente, il manufatto risulta essere una vera opera d’arte fusoria sia per le difficoltà di realizzazione che per il risultato estetico.

Esemplari identici sono stati da noi documentati in altri centri, tutti dislocati nel centro-sud della Penisola. Tra questi Palermo (in origine collocati in varie zone della città come il Foro Italico, Porta Felice, Porta Nuova, davanti all’ingresso di Villa Giulia), Acireale, Catania, Napoli e Avellino. Alcuni riportano sulla base la data 1856 a testimoniare come la loro produzione risalga, addirittura, all’epoca preunitaria.

Acireale (CT), un esemplare di candelabro sopravvissuto

Acireale (CT), un esemplare di candelabro sopravvissuto

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