Libertà architettonica e dialogo culturale: i 40 anni del Beaubourg-Centre Pompidou

Posted on Gen 23, 2017

Due architetti giovani e quasi sconosciuti risultarono vincitori del concorso internazionale voluto dall’allora presidente della Repubblica francese Georges Pompidou (1969-1974) che aspirava a realizzare un museo, o meglio un centro pluridisciplinare, capace di durare 500 anni. I due architetti erano entrambi stranieri: l’italiano Renzo Piano e l’inglese Richard Rogers. L’unica risposta realistica – dichiara Renzo Piano a il Venerdì di Repubblica del 6 gennaio ‘17 – era costruire un luogo dotato della capacità di trasformarsi. Così nascono quei cinque grandi spazi sovrapposti, con tutti i servizi ausiliari all’esterno, e dentro uno spazio libero di trasformarsi. Solido, ma senza pretese”.

Solo dei “pazzi visionari” potevano quarant’anni fa imporsi in una città, Parigi, dove la cultura era ancora troppo tradizionalista e rivolta al passato, dominata dall’establishment dei Beaux Arts; eppure lo Studio Piano & Rogers dà vita a un edificio rivoluzionario, nell’architettura come nel progetto culturale, una costruzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di concepire non solo un museo ma l’idea stessa dell’architettura, dell’urbanistica, dello spazio cittadino. L’opera, il  Beaubourg-Centre Pompidou, riprende in parte il nome dal quartiere sul quale sorge, un luogo posizionato nel “ventre” medievale della capitale francese.

 

Così come era successo nel 1889 per la Tour Eiffel, l’unico precedente intervento così innovativo da provocare reazioni furibonde, anche questa grande struttura parallelepipeda inaugurata il 31 gennaio 1977, costruita per lo più in acciaio e vetro e caratterizzata dall’impiego di grandi tubi e monumentali scale mobili, è stata all’inizio al centro di polemiche, considerata da molti un oltraggio alla storia dell’arte e allo skyline di Parigi. Si era diffusa addirittura la falsa convinzione che fosse stata realizzata sul sito delle Halles, gli antichi mercati generali ottocenteschi in ferro e ghisa, demolite nello stesso anno ma in un’altra zona della città, lungo Boulevard Sébastopol.

In breve tempo è tuttavia riuscita a conquistare il cuore di tutti, parigini e non, sia per le caratteristiche realizzative del contenitore, sia per i messaggi e gli obiettivi in esso contenuti: fin dall’inizio si è infatti desiderato un museo in cui il pubblico si sentisse a suo agio, un luogo accogliente dove poter entrare liberamente anche senza uno scopo culturale preciso.

Oggi con una media di 6 milioni di visitatori all’anno rappresenta uno dei musei più famosi e popolari del mondo. Ospita una strepitosa raccolta d’arte moderna e contemporanea, che raccoglie 100 mila opere dall’inizio del Novecento in poi, la più ricca biblioteca pubblica della città, spazi destinati a eventi, dibattiti, cinema, teatro. Il tutto in un unico e originalissimo edificio concepito come una spazio aperto affacciato su una piazza-agorà che in origine ospitava un parcheggio per le auto.

Un vero simbolo, dunque, della nuova modernità culturale, per la realizzazione del quale Renzo Piano rivela come le sue “forme industriali” traggano ispirazione dalla Fabbrica del porto di Genova e il suo riflesso nell’acqua, il suo doppio: “una cosa che ho avuto dentro di me, da sempre”.

 

 

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