E’ stata inaugurata lo scorso 28 maggio e si protrarrà fino al 27 novembre prossimo la XV Mostra Internazionale di Architettura organizzata dalla Biennale di Venezia.
REPORTING FROM THE FRONT è il titolo pensato per questa edizione che costituisce un unico percorso espositivo dal Padilgione Centrale (Giardini) fino all’Arsenale, includendo 88 partecipanti provenienti da 37 paesi. Di questi, 50 sono presenti per la prima volta e 33 sono gli architetti under 40.
A presentazione dell’evento è stata scelta l’immagine di una signora che salendo sui gradini di una scala riesce a scrutare un orizzonte più vasto, conquistando un suo expanded eye. Ma il suolo intorno a lei è desolato e la domanda sorge spontanea: cosa vede oltre? “Zone sfruttate dall’uomo, realizzazioni molto deludenti delle quali non possiamo certo andare orgogliosi e che rappresentano un triste infinito numero di occasioni mancate per l’intelligenza e l’azione della civiltà umana. Molte realtà tragiche, altre banali che inducono a pensare alla scomparsa dell’architettura” Questo sembra osservare dalla sua postazione la donna per il Presidente della Biennale Paolo Baratta che però apre decisamente alla possibilità reale di qualcosa di nuovo e di costruttivo “ma vede anche segni di capacità creativa e risultati che inducono a speranza, e li vede nel presente, non nell’incerto futuro. Proprio in questo sembra identificarsi la Biennale, le sue attitudini e le sue finalità”.
La proposta messa in campo dalla XV Mostra è duplice e si concentra soprattutto sulle periferie metropolitane al fine di sviluppare progetti atti a far rinascere luoghi di forte degrado: da una parte l’obiettivo è quello di allargare l’arco dei temi ai quali l’architettura dovrebbe fornire risposte, aggiungendo alle dimensioni culturali e artistiche quelle che si collocano sul piano sociale, politico, economico e ambientale. Dall’altra parte si vuole evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più livelli, integrando una varietà di ambiti anziché sceglierne uno rispetto a un altro.
REPORTING FROM THE FRONT propone dunque di condividere con un pubblico più ampio il lavoro delle persone “che scrutano l’orizzonte” alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le disuguaglianze, le periferie, ma anche l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, lo spreco, il riuso e riciclo, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità. Propone altresì di presentare degli esempi di sintesi delle diverse dimensioni, dove il pragmatico si intreccia con l’esistenziale, la creatività con il buon senso. L’architettura deve contribuire con i propri mezzi a ridurre le disuguaglianze, a mitigare sofferenze e disagi, a dare forma e senso ai luoghi in cui viviamo.
Figurano anche Progetti Speciali come l’esposizione curata dall’architetto Stefano Recalcati, dal titolo Reporting from Marghera and Other Waterfronts che analizza nella sede espositiva di Forte Marghera (Mestre, Venezia) interventi significativi di rigenerazione urbana di porti industriali, contribuendo a stimolare una riflessione sulla riconversione produttiva di Porto Marghera.
Molto interessante è anche l’accordo di collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra attraverso il quale la Biennale presenterà presso le Sale d’Armi dell’Arsenale il primo padiglione dedicato alle Arti Applicate (l’idea di fondo è che l’Arsenale possa annoverare, in futuro, un padiglione dedicato in maniera permanente alla prosecuzione dell’indagine sulle Arti Applicate). Si parte con una mostra – A World of Fragile Parts – curata da Brendan Cormier che affronta il tema della “copia” come possibile soluzione per la salvaguardia del patrimonio mondiale di artefatti culturali. I musei vantano una lunga storia nella produzione di copie. Il V&A ha contribuito in maniera decisiva fin dall’Ottocento – quando furono create le Cast Courts col proposito di esporre calchi in gesso di importanti capolavori artistici – ad educare i visitatori e a rendere queste opere accessibili a coloro che non potevano viaggiare. Verso la fine del Novecento questa intensa attività di riproduzione iniziò a diminuire e le copie acquisirono una connotazione negativa, associata ai concetti di contraffazione e grossolanità. Recentemente invece hanno di nuovo assunto valore, quello della preservazione; sono tornate ad essere elementi di trasmissione di conoscenza e di cultura. “A World of Fragile Parts” indaga 200 anni di copiatura di manufatti culturali, espone pezzi che includono un facsimile de The Convention for Promoting Universally Reproduction of Works of Art (1867), una convenzione scritta da Henry Cole, primo direttore del V&A, al fine di perseguire lo scambio internazionale di copie, calchi in gesso dell’Ottocento, fotografie e chiaroscuri, assieme ad alcuni dei maggiori progetti contemporanei che hanno impiegato l’uso di copie quale strategia di preservazione.