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Recuperati a nuova vita: i gasometri di Londra, Stoccolma e Amsterdam

Posted by on set 30, 2021 in Itinerari, Riqualificazione spazi urbani | 0 comments

Dopo i casi già descritti di Atene (Gazi) e Londra (Old Kent Road) [1] presentiamo i progetti dedicati al recupero di altri gasometri ormai dismessi da decenni.

Il primo intervento ci porta ancora una volta nella capitale inglese dove lo Studio di architettura Wilkinson Eyre si è aggiudicato il concorso per la riqualificazione dei gasometri di King’s Cross. Dal 2018 all’interno di tre di queste strutture sono ospitati altrettanti edifici residenziali con appartamenti di lusso, mentre un quarto, situato al centro, è stato recuperato a formare un grande giardino circondato da una pensilina in acciaio sottilissimo, lucido specchiante. L’estetica industriale pesante e la materialità fisica grezza della struttura si fondono armoniosamente con la leggerezza e la complessità degli spazi interni. Per descrivere l’identità di questo luogo ci affidiamo alle parole dello stesso Wilkinson, direttore di Wilkinson Eyre, che ha preso casa proprio in uno di questi appartamenti: I gasholder creano un contrappunto dinamico tra vecchio e nuovo. Rappresentano l’essenza stessa della vita in città e offrono panorami unici sul canale. Il recupero è una risposta concreta alla possibilità di intervenire sul patrimonio industriale in un’area come King’s Cross; si creano infatti nuove forme, complesse e interdipendenti, cui corrispondono scultorei spazi all’interno. L’architettura è completamente integrata nella vita della città, a dimostrazione che è possibile adattare costruzioni iconiche a nuove funzioni.

I gasometri londinesi di King's Cross trasformati in edifici residenziali (photo by Peter Landers)

I gasometri londinesi di King’s Cross trasformati in edifici residenziali (photo by Peter Landers)

Esterno e interno. Gli appartamenti di lusso ricavati negli ex gasometri di King's Cross (photo by James Brittain)

Esterno e interno. Gli appartamenti di lusso ricavati negli ex gasometri di King’s Cross (photo by James Brittain)

Un team di alto profilo composto dagli studi Herzog & de Meuron, LOLA Landscape Architetcts, insieme al paesaggista olandese Piet Oudolf, ha assunto il compito di riqualificare il distretto di Norra Djurgårdsstaden a Stoccolma. L’area sorge sul sito dell’ex officina del gas, ubicata nel settore nord-est della capitale svedese, dove sopravvivono una serie di gasometri inutilizzati. Costruiti in mattoni rossi alla fine del XIX sec. sono stati progettati dall’architetto svedese Ferdinand Boberg con strutture metalliche cilindriche aggiunte nel 1912 e nel 1932. L’intervento prevede la rimozione di uno degli edifici, che sarà sostituito da una torre residenziale alta 90 metri che ospita 312 appartamenti distribuiti su 28 piani con una terrazza aperta sul tetto, uffici, una Spa, una caffetteria, e un asilo nido al piano terra. Gli altri edifici saranno recuperati e adibiti a nuovo polo culturale della città.

La facciata della torre è pensata per riprendere nella forma la struttura in metallo originale del gasometro e ogni appartamento è disposto secondo una configurazione a V, le camere da letto da un lato e le zone giorno dall’altro, con viste panoramiche sulla città, sul parco e sulla costa. Un esteso spazio verde è a disposizione sia dei residenti che dell’intera popolazione. Sentieri serpeggianti, impreziositi da alberi e fiori, collegano due piazze e un’area-salotto lunga 88m. Il paesaggista Piet Oudolf, specializzato nella piantumazione di piante perenni, è noto per il suo intervento sulla High Line di New York (una ferrovia dismessa trasformata in un parco cittadino sopraelevato).

L'area dell'ex officina del gas di Stoccolma con i gasometri recuperati e la torre residenziale alta 90 m. (image courtesy of Herzog & de Meuron)

L’area dell’ex officina del gas di Stoccolma con i gasometri recuperati e la torre residenziale alta 90 m. (image courtesy of Herzog & de Meuron)

Dalla Svezia all’Olanda: la Westergasfabriek, ex fabbrica di gas ad Amsterdam, è divenuta la casa per eccellenza di eventi culturali, meritando addirittura a livello internazionale l’appellativo di “Pride of Westergas”, uno spazio eccezionale da destinare a mostre, festival musicali, concerti, conferenze, seminari, premiazioni. Le originali caratteristiche industriali dello spazio interno dell’antico serbatoio di stoccaggio, unite ad una superficie di 2500 mq e all’imponente altezza (14,5 m) fanno oggi di questo gasometro una maestosa cornice sapientemente restaurata.

L'interno del gasometro di Amsterdam, photo  by Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24008703

L’interno del gasometro di Amsterdam, photo by Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24008703

Per saperne di più:

https://www.architetturaecosostenibile.it/architettura/progetti/recupero-gasometri-gasholders-240https://www.dezeen.com/2017/10/30/gasklockan-stockholm-sweden-herzog-de-meuron-piet-oudolf-lola-landscape-architecture

https://westergas.nl/en/locations/gashouder/

 

[1] http://www.arredodesigncitta.it/?s=Gazihttp://www.arredodesigncitta.it/cool-gas-ad-atene/

 

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“Preesistenza, ambiente, continuità” – La Torre Velasca

Posted by on set 16, 2021 in Architettura e Design, Arredo Urbano, Itinerari | 0 comments

Milano, primi anni Cinquanta. Nel centro storico, a sud del Duomo, le rovine provocate dalla Seconda guerra mondiale lasciano spazio a nuovi edifici i cui artefici sono tra i protagonisti della svolta moderna dell’architettura italiana: Asnago Vender e Luigi Moretti. Sono gli anni in cui si apre il cantiere della Torre Velasca, commissionata dalla Società Generale Immobiliare alla ditta milanese BBPR, fondata nel 1932 da Gian Luigi Banfi (1910-1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909-2004), Enrico Peressutti (1908-1976) ed Ernesto Nathan Rogers (1909-1969). Aperta al pubblico nel 1958, la torre è riconosciuta come un episodio cardine nella storia dell’architettura italiana del Novecento, e per molti versi conclude l’età del Movimento Moderno,  che si colloca tra i due conflitti ed è teso al rinnovamento dei caratteri, della progettazione e dei principi dell’architettura, dell’urbanistica e del design.

La Torre Velasca rappresenta non solo la più famosa delle realizzazioni di BBPR, che inaugura la stagione dei grattacieli milanesi, ma, in particolare, anche la più fedele materializzazione delle idee di uno dei suoi protagonisti, Rogers, allora impegnato in un processo di reinterpretazione dei fondamenti teorici della disciplina. Opponendosi apertamente all’idealismo della cultura architettonica italiana dei decenni precedenti, egli trae ispirazione dalla fenomenologia del filosofo Enzo Paci per ricollocare l’architettura nei suoi contesti e, in senso più ampio, in un continuum storico senza soluzione di continuità. Mentre il Movimento Moderno aveva più volte affermato la sua intenzione di staccarsi dal passato, Rogers crea con esso nuovi legami, per formulare l’idea di modernità intesa come evoluzione, piuttosto che come rivoluzione.

L’edificio milanese risponde dunque a un audace progetto contemporaneo per le sue dimensioni (106 m. di altezza), la sua struttura in cemento armato e le sue funzioni (uffici e appartamenti, oltre a pochi spazi commerciali). Allo stesso tempo la torre intende riprodurre “l’atmosfera” di Milano (altra parola cara agli autori) in modo da stabilire un dialogo con i suoi edifici storici, in primis la Cattedrale gotica e la torre del Filarete al Castello Sforzesco.

Osservandola si nota un progressivo passaggio da una struttura a blocco semplificato verso una maggiore articolazione dei volumi e complessità del linguaggio. Molte delle soluzioni adottate sono chiari accenni alla Milano antica, e più in particolare al Medioevo. È il caso, ad esempio, della sua forma “a fungo”, che ospita gli uffici nel fusto e gli appartamenti sulla la cima allargata. Al passato milanese fanno riferimento anche i semipilastri che compaiono su ogni prospetto, trasformandosi in aerei contrafforti, nonché la disposizione apparentemente irregolare delle aperture e i pannelli di rivestimento prefabbricati in marmo e clinker.

All’opera – nonostante sia risultata fin dalla sua creazione largamente incompresa e osteggiata (fenomeno che non si è placato nel corso del tempo, ancora oggi è da molti considerata uno scempio e una delle più brutte architetture del ‘900) – va riconosciuta la sua valenza storica, innegabile per almeno due ragioni: insieme al grattacielo Pirelli di Gio Ponti (1956-1960) incarna più di ogni altro edificio l’anima del rinascimento economico e culturale di Milano del dopoguerra. Allo stesso tempo è a partire proprio dalla torre Velasca che l’architettura italiana fa il suo ingresso nella stagione postmoderna.

Un altro dato interessante riguarda il fatto che furono gli stessi autori a progettare nel 1958 per l’omonima piazza sulla quale sorge la torre i particolari lampioni in acciaio dotati, ciascuno, di quattro sedute alla base. Sull’argomento si veda SS9 – Luce sulla via Emilia, in Arredo&Città 1-2018 , pp. 22-27 https://www.arredoecitta.it/it/riviste/ss9-luce-sulla-via-emilia/

Per maggiori approfondimenti sulla Torre Velasca:https://www.domusweb.it/en/buildings/torre-velasca.html?utm_term=Autofeed&utm_medium=Social&utm_source=Twitter

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Passeggiata a Central Park

Posted by on set 1, 2021 in Arredo Urbano, Itinerari | 0 comments

Nel 1850 fu lanciato un concorso per la progettazione di un nuovo grande parco a Manhattan. Tra febbraio e marzo 1858 furono presentati 35 progetti; i commissari assegnarono il primo premio a quello degli architetti paesaggisti Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux. Nello stesso anno furono aperte al pubblico le prime aree del parco. Nasceva così il Central Park.

 

Il sito era inizialmente lontano dalle aree edificate della città: poco popolato ospitava piccole fattorie, usi industriali e abitazioni sparse tra aree paludose e colline rocciose. Ripulire l’area non fu semplice (vennero trasportati fuori dal parco circa 140.000 metri cubi di terra e rocce). Il piano intendeva evitare la simmetria e optare piuttosto per un design più pittoresco che comprendeva ampi prati, boschi, ruscelli e laghi, tutti collegati da una serie di percorsi tortuosi, una carrozzabile e una mulattiera.

Il lago nella sezione sud-occidentale del parco fu la prima area ad essere aperta al pubblico, seguita dalla passeggiata. Nonostante lo scoppio della guerra civile americana, si decise di continuare i lavori e presto fu completata anche la Terrazza di Bethesda, che rimane ancora oggi una delle zone più iconiche e conosciute del parco. Un altro punto di interesse è il Castello del Belvedere: originariamente inteso come torre di avvistamento a cielo aperto, l’intero complesso fu poi concepito come luogo da cui godere della vista del paesaggio circostante.

Tra il 1859 e il 1866, a Central Park furono costruiti 27 archi e ponti, tutti progettati dall’architetto paesaggista Calvert Vaux (Londra 1824 – New York 1895). Nel corso della sua attività professionale progettò e creò dozzine di parchi negli Stati Uniti dove introdusse nuove idee sul significato dei parchi pubblici durante il repentino periodo di urbanizzazione della nazione, un fenomeno che lo stimolò a focalizzarsi sull’integrazione di palazzi, ponti e altre forme di architettura nell’ambiente naturale. Per Central Park scelse con attenzione materiali differenti e motivi decorativi, individuando con cura, per ciascuno, la collocazione nel paesaggio. Dei tre ponti realizzati in ghisa decorata il “ponte gotico”, o ponte n. 28, situato sul lato nord del Bacino, è il più noto. Prodotto dalla  J.B. & W.W. Cornell Ironworks di New York  si caratterizza per le curve fantasiose dei suoi motivi in fusione che ne fanno una delle architetture più fotografate del Parco.

Per saperne di più  urly.it/3f9y-

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L’energia solare per due piste ciclabili

Posted by on lug 5, 2021 in Arte e Luce, Itinerari | 0 comments

Due differenti progetti di ciclabili, accomunati dall’impiego dell’energia solare rendono la bicicletta, che è già di per sé il mezzo di trasporto più ecofriendly, ancora più sostenibile.

Il primo dei due percorsi si trova in Polonia, nei pressi della località di Lidzbark Warminksi ed è stato realizzato dal TPA Instytut Badan Technicznych (Istituto Tecnologie del Futuro TPA) di Pruszkow che ha utilizzato un nuovo materiale sintetico a base di fosforo, adatto alla pavimentazione stradale e in sintonia con il paesaggio circostante. Una volta “caricato” dal sole, il materiale si accende di un blu brillante per oltre 10 ore, permettendo la percorribilità a piedi e in bici senza aggiunta di luci artificiali. Il concetto di ispira alla Van Gogh path dello studio Roosegaarde [1] anche se la tecnologia di base differisce in quanto la versione olandese utilizza i LED, mentre questa si affida totalmente all’energia solare.

https://www.argoit.com/it/sezione_id,2/newssez_id,238/come-funziona-la-nuova-pista-ciclabile-ad-energia-solare-a-base-di-fosforo/comunicati.html

 

L’altra pista ciclabile, lunga una trentina di chilometri, rappresenta al momento un unicum, in quanto si tratta della prima “autostrada per biciclette” al mondo. L’infrastruttura sorge in Corea del Sud al centro dell’autostrada che collega Daejeon a Sejong ed è coperta da un tetto composto da pannelli solari che garantisce un duplice scopo: proteggere i ciclisti dalla pioggia e allo stesso tempo generare energia elettrica pulita sufficiente per alimentare sia il sistema di illuminazione sia una serie di stazioni per la ricarica dei veicoli elettrici.

Resta tuttavia il fatto – non certo trascurabile – che ci si trova a percorre in bicicletta uno stretto corridoio posto nel mezzo di una strada dedita a supportare grandi volumi di traffico motorizzato ad alta velocità: tutto l’opposto del movimento lento e della possibilità di ammirare il paesaggio che sono le principali caratteristiche offerte dall’utilizzo di questo mezzo di trasporto.

https://www.teleambiente.it/trasporti_corea_sud_pista_ciclabile_energia_solare_costruita_mezzo_autostrada/

 

 

 

 

[1] Di questa pista ciclabile abbiamo già dato notizia sulla rivista Arredo & Città 1 2020 “Nel paesaggio. Itinerari leggeri alla scoperta del territorio” pp. 74-75

https://www.arredoecitta.it/it/riviste/nel-paesaggio-itinerari-leggeri-attraverso-il-territorio/

 

 

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Quei lampioni di Cesena

Posted by on giu 16, 2021 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Il museo della ghisa, Itinerari | 0 comments

Dal 2008 fanno parte del Museo dell’Arredo Urbano, un progetto nato dalla collaborazione tra il Comune, la Fondazione Neri e Neri spa e che ha trovato nel Giardino Pubblico di Cesena la sua felice realizzazione. Al fine di recuperare il più possibile anche l’atmosfera dell’epoca, l’intervento prevedeva che, dopo il restauro dell’originale impianto architettonico, il sito fosse arricchito con elementi di arredo prodotti nella seconda metà dell’Ottocento. Così, accanto a quattro pali già presenti in città e raccolti nel giardino, sono stati installati otto lampioni in ghisa di proprietà della Fondazione Neri, provenienti da importanti città italiane ed estere.

In questo articolo ci concentriamo sui quattro pali di proprietà del Comune di Cesena perché recentemente abbiamo fatto una scoperta che potrebbe rivelarsi molto preziosa al fine di ricostruirne  la storia. Innanzitutto partiamo dall’unica notizia certa [1]: i pali sono stati trasferiti nel Giardino Pubblico dopo essere stati rimossi dalla balaustra in pietra del Ponte Vecchio, storico ponte cittadino, dove furono installati solo negli anni ‘50  in sostituzione di altri esemplari che non conosciamo. La loro altezza sul ponte era sproporzionata, dal che si deduce che altra doveva essere la loro collocazione originaria, di oltre un secolo fa, un’ipotesi che al momento trova conferma solo in una cartolina di inizio ‘900 che riprende Viale Carducci con la presenza di due di questi lampioni.

Due dei quattro lampioni storici cesenati all'interno del Giardino Pubblico

Due dei quattro lampioni storici cesenati all’interno del Giardino Pubblico

Viale Carducci in una cartolina di inizio '900; al centro si riconoscono due dei lampioni protagonisti dell'articolo

Viale Carducci in una cartolina di inizio ’900; al centro si riconoscono due dei lampioni protagonisti dell’articolo

Un indizio sulla paternità dei manufatti potrebbe invece celarsi, come accennato sopra, tra le pagine di un libro custodito nell’Archivio della Fondazione Neri che ripercorre le tappe salienti della Calzoni [2] uno degli stabilimenti meccanici più rinomati a livello nazionale e non solo. In particolare ad attirare la nostra attenzione è stata l’immagine di un lampione, in tutto e per tutto identico ai pali di Cesena, collocato all’interno di Casa Carducci – residenza bolognese di Giosuè Carducci, oggi trasformata in Museo. Il lampione, realizzato dalla Calzoni nel 1870 ca., illumina l’atrio e la scala a chiocciola che conduce all’appartamento del poeta al piano superiore. Il globo acceso alla sommità ne esalta le forme slanciate ed eleganti e i bei decori vegetali e floreali che caratterizzano la colonna.

Riguardo ai quattro pali di Cesena non possiamo affermare con certezza che siano stati realizzati dalla Calzoni, ma il dato che possiamo aggiungere alle altre informazioni è alquanto interessante, da questo possiamo partire per cercare altri approfondimenti.

Bologna, interno di Casa Carducci, lampione fuso dalla Calzoni nel 1870 ca.

Bologna, interno di Casa Carducci, lampione fuso dalla Calzoni nel 1870 ca.

Sulla ditta Calzoni riportiamo di seguito alcune informazioni riprese da un nostro articolo scritto per la rivista Scuola Officina pubblicata dal Museo del Patrimonio Industriale di Bologna (n. 1, 2008 pp. 10-15).

Inizialmente specializzata nella produzione di macchine agricole e molitorie, nel 1867 la Calzoni iniziò a dedicarsi, prima in Italia, alla costruzione di turbine idrauliche: questo nuovo indirizzo forniva adeguati motori alla crescente domanda dell’epoca per impianti idroelettrici. In quegli anni era presente a tutte le mostre, persino alla grande Esposizione di Filadelfia del 1876 e in un rapporto in occasione di quella tenutasi a Milano nel 1881 veniva citata come vero modello di qualità e organizzazione. Ma nel suo lungo periodo di attività si interessò anche alle fusioni artistiche in ghisa, campo nel quale raggiunse altrettanti soddisfacenti risultati. Davvero vario risulta il campionario di oggetti, realizzati prevalentemente nella seconda metà dell’Ottocento, in cui figurano ornati per parapetti, cancelli, fanali per l’illuminazione e diverse tipologie di panchine, impreziosite da elaborati decori di stile vegetale. Per la città di Bologna tra le opere più significative vanno segnalate la cancellata e le mensole reggi lampada per il palazzo della Banca d’Italia (1889), i numerosi candelabri riccamente ornati per l’illuminazione, sia privata che pubblica, come quelli a quattro luci progettati per la balaustra del ponte di Galliera (fine’800).

Sul Giardino Pubblico di Cesena e il Museo dell’Arredo Urbano all’aperto si veda:

https://www.arredoecitta.it/it/riviste/il-giardino-pubblico-a-cesena/

 

[1] Durante i lavori per l’allestimento del Museo dell’Arredo Urbano abbiamo condotto delle ricerche nell’Archivio Storico di Cesena, ma l’esito si è rivelato purtroppo negativo.

[2] Calzoni 1834-1984, pubblicazione a cura della Riva Calzoni in occasione del 150˚ di fondazione.

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