Progettare la città resiliente. Il caso di Boston
Molte città, come Boston, sono alle prese con i cambiamenti climatici e l’innalzamento del livello del mare. Poche sono riuscite, tramite l’apporto di architetti del paesaggio, urbanisti e ingegneri a comprendere veramente la portata dell’impatto e proporre soluzioni innovative
Il team di progettazione, che comprendeva Kleinfelder, Stoss, One Architecture & Urbanism e Woods Hole Group, in coordinamento con partner a tutti i livelli di governo, membri della comunità e settore privato, ha sviluppato una strategia di resilienza che include una serie di criteri di valutazione, raccomandazioni per azioni a breve e lungo termine, costi di ordine di grandezza e una roadmap di implementazione per guidare la città mentre inizia a passare dalla pianificazione alle azioni fisiche per proteggere la comunità.
Una strategia di coinvolgimento della comunità solida e divertente è stata fondamentale per lo sviluppo della visione e delle raccomandazioni del progetto. Oltre 400 residenti a East Boston e Charlestown hanno partecipato a riunioni, open house e sondaggi in cui hanno condiviso le loro visioni e priorità sulle soluzioni di resilienza costiera. I residenti hanno dato particolare importanza alle garanzie di accesso all’acqua e al fatto che le soluzioni siano efficaci a lungo termine.
La strategia di resilienza e le soluzioni di progettazione prevedono il controllo stratificato delle inondazioni e misure integrate di infrastrutture verdi che mitigano l’effetto dei cambiamenti climatici creando un ambiente sociale, ambientale, e benefici economici.
Le misure aggiuntive fornite: marciapiedi potenziati con respingenti naturali delle zone umide che presentano passerelle in grado di tenere le persone all’asciutto; paesaggi che combinano l’interazione sociale con la protezione dalle inondazioni, creando luoghi per sedersi e guardare le attività; e una piantagione di alberi da ombra che aiuta a combattere la temperatura più elevata. Tutti questi elementi contribuiscono a migliorare i collegamenti con il lungomare rendendolo veramente accessibile per la comunità.
Le misure di protezione dalle inondazioni proposte sono progettate per essere efficaci per oltre 50 anni. Insieme, forniranno protezione dalle inondazioni, accesso al lungomare, attività ricreative, mobilità per oltre 11000 residenti e almeno 300 imprese, nonché per infrastrutture di autostrade e per altri importanti servizi.
Read MoreURBAN FARMING – A L’Aja la spesa si fa sui tetti
Le metropoli moderne sono invase da cantieri che sfornano a ritmi incalzanti nuovi palazzi e centri commerciali. Fortunatamente a portare un tocco di verde ci pensano loro, gli orti cittadini; la pratica dell’urban farming, importata nel vecchio continente dagli USA, consiste nel coltivare, trasformare e distribuire i prodotti alimentari direttamente all’interno dei contesti urbanizzati.
A L’Aja, in Olanda, si è dato vita alla più vasta area agricola urbana d’Europa, dopo le prime esperienze delle fattorie cittadine di Basilea, Zurigo e Berlino. Qui la frutta e la verdura, ma anche il pesce, si possono acquistare sul tetto di uno storico edificio dove al posto di scrivanie e computer è sorto UF002, una vera e propria rooftop farm.
Opera dell’architetto Dirk Roosenburg, che lo ha realizzato negli anni ’50 su commissione dell’azienda Philips, l’edificio è stato oggetto a partire dal 2013 di un’interessante iniziativa lanciata dal Comune della città olandese, un esperimento moderno finalizzato a rivitalizzare una struttura prestigiosa sita a due passi dalla stazione Den Haag Holland Spoor. Ed ecco che dal 2016 è tornato a nuova vita e può raccontare la storia del progetto “Urban Farmers”, un modo conveniente, sano e sostenibile di produrre il cibo.
In una superficie di 1900 mq vengono prodotte circa 45 tonnellate di ortaggi e 19 di pesce. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, anche lo spreco è vietato dal momento che le stesse acque per l’allevamento ittico, essendo particolarmente ricche di sostanze nutrienti, vengono utilizzate come fertilizzanti per gli ortaggi. Questo sistema, noto come aquaponics, è molto interessante dal punto di vista ecologico in quanto sfrutta e ottimizza le risorse naturali. Così facendo la “fattoria sul tetto” risparmia fino al 90% sull’uso di acqua. Sono inoltre banditi pesticidi, erbicidi o antibiotici per cui quello che arriva nei piatti dei consumatori è realmente cibo fresco e salutare.
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Città galleggianti, non solo utopia!
La “colonizzazione urbana acquatica” può essere una risposta alle sempre più frequenti problematiche ambientali. Nuovi studi hanno ormai annullato il confine tra sogno e realtà: su tutti il caso della Polinesia dove i sistemi tradizionali non riescono a rispondere alle criticità del territorio (condannato, si dice, a scomparire tra poche decine d’anni, causa l’innalzamento delle acque) e hanno portato all’approvazione del progetto Artisanopolis, la prima città al mondo creata su piattaforme galleggianti, i cui lavori inizieranno a partire dal 2019.
Capofila di questa nuova sfida è il californiano Seasteading Institute che sta seguendo progetti finalizzati a gestire le variazioni altimetriche dell’innalzamento delle acque dovuto al purtroppo noto fenomeno del riscaldamento globale del pianeta. Già in piedi ci sono alcuni “villaggi anfibi” come l’Amfibiewoningen (Paesi Bassi) capace di adattarsi a fluttuazioni di oltre 5 metri.
Per evitare catastrofi dovute a terremoti e tsunami si discutono, inoltre, progetti come Harvest City, un’ipotetica città galleggiante haitiana a rischio zero. In altri casi è la scarsità di suolo a spingere verso un’urbanizzazione acquatica: esempi sono Some Sevit a Seoul (Corea), tre isole galleggianti che ospitano negozi e servizi e Ocean Metropolis, un aggregato urbano galleggiante per la decongestione cittadina di cui un prototipo è in fase di sperimentazione in Cina.
In generale le città del futuro, o parte di esse, possono essere immaginate anche come arcipelaghi mobili, capaci di rompere, e di conseguenza rivoluzionare, il legame storico tra architettura e territorio. È proprio la riconfigurazione dello spazio cittadino sull’acqua, insieme alla capacità di trovare soluzioni abitative che consentano all’uomo di vivere in questo ambiente, uno degli aspetti più affascinanti, la sfida che dovranno raccogliere le prossime generazioni. La colonizzazione del mondo acquatico intanto è già iniziata!
Read More100 GIARDINI “TASCABILI” PER LONDRA
Boris Johnson, ex sindaco di Londra per due mandati (2008-16), è l’ideatore dei 100 piccoli giardini immersi nel verde, i Pocket Parks, diffusi nella capitale inglese in ben 26 quartieri grazie alla collaborazione e all’iniziativa di numerosi liberi cittadini.
Le aree interessate all’intervento hanno in comune il fatto di aver rappresentato, in origine, dei vuoti urbani mai utilizzati; aree anonime, quindi spazi privi di identità. Il programma ha previsto il recupero di questi luoghi con l’obiettivo di coinvolgere attivamente residenti e associazioni green – anche attraverso una partecipazione on line – a partire dall’idea fino alla completa realizzazione avvenuta nei mesi scorsi a fronte di un impegno finanziario contenuto, pari a circa 2 milioni di sterline.
I parchi, di grandezza e forma diversa, adiacenti alle abitazioni dei diretti interessati, costituiscono oggi uno spazio intimo e collettivo al tempo stesso, un rifugio dal caos metropolitano per vivere piacevoli momenti di relax ma anche d’incontro e di confronto. Una sorta di grande stanza a cielo aperto dove si può conversare, bere un drink, leggere, ma anche prendersi cura di orti e alberi da frutto. L’iniziativa ha così rafforzato il senso di condivisione e appartenenza da parte di tutti al territorio urbano circostante. Per la sociologa Jane Jacobs i Pocket Parks rappresentano degli spazi che vanno intesi come “occhi sulla strada”.
Il successo del programma è stato di recente celebrato da una mostra alla London City Hall in cui si sono presentate le esperienze di coloro che hanno collaborato alla riuscita del progetto. Un’occasione per infondere nuovamente nelle persone fiducia verso i luoghi pubblici, dimostrando che lo spazio aperto tra gli edifici non è solamente una “zona di transito” ma anche e soprattutto un luogo di condivisione e, perché no, di bellezza.
Read MoreREPORTING FROM THE FRONT
E’ stata inaugurata lo scorso 28 maggio e si protrarrà fino al 27 novembre prossimo la XV Mostra Internazionale di Architettura organizzata dalla Biennale di Venezia.
REPORTING FROM THE FRONT è il titolo pensato per questa edizione che costituisce un unico percorso espositivo dal Padilgione Centrale (Giardini) fino all’Arsenale, includendo 88 partecipanti provenienti da 37 paesi. Di questi, 50 sono presenti per la prima volta e 33 sono gli architetti under 40.
A presentazione dell’evento è stata scelta l’immagine di una signora che salendo sui gradini di una scala riesce a scrutare un orizzonte più vasto, conquistando un suo expanded eye. Ma il suolo intorno a lei è desolato e la domanda sorge spontanea: cosa vede oltre? “Zone sfruttate dall’uomo, realizzazioni molto deludenti delle quali non possiamo certo andare orgogliosi e che rappresentano un triste infinito numero di occasioni mancate per l’intelligenza e l’azione della civiltà umana. Molte realtà tragiche, altre banali che inducono a pensare alla scomparsa dell’architettura” Questo sembra osservare dalla sua postazione la donna per il Presidente della Biennale Paolo Baratta che però apre decisamente alla possibilità reale di qualcosa di nuovo e di costruttivo “ma vede anche segni di capacità creativa e risultati che inducono a speranza, e li vede nel presente, non nell’incerto futuro. Proprio in questo sembra identificarsi la Biennale, le sue attitudini e le sue finalità”.
La proposta messa in campo dalla XV Mostra è duplice e si concentra soprattutto sulle periferie metropolitane al fine di sviluppare progetti atti a far rinascere luoghi di forte degrado: da una parte l’obiettivo è quello di allargare l’arco dei temi ai quali l’architettura dovrebbe fornire risposte, aggiungendo alle dimensioni culturali e artistiche quelle che si collocano sul piano sociale, politico, economico e ambientale. Dall’altra parte si vuole evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più livelli, integrando una varietà di ambiti anziché sceglierne uno rispetto a un altro.
REPORTING FROM THE FRONT propone dunque di condividere con un pubblico più ampio il lavoro delle persone “che scrutano l’orizzonte” alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le disuguaglianze, le periferie, ma anche l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, lo spreco, il riuso e riciclo, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità. Propone altresì di presentare degli esempi di sintesi delle diverse dimensioni, dove il pragmatico si intreccia con l’esistenziale, la creatività con il buon senso. L’architettura deve contribuire con i propri mezzi a ridurre le disuguaglianze, a mitigare sofferenze e disagi, a dare forma e senso ai luoghi in cui viviamo.
Figurano anche Progetti Speciali come l’esposizione curata dall’architetto Stefano Recalcati, dal titolo Reporting from Marghera and Other Waterfronts che analizza nella sede espositiva di Forte Marghera (Mestre, Venezia) interventi significativi di rigenerazione urbana di porti industriali, contribuendo a stimolare una riflessione sulla riconversione produttiva di Porto Marghera.
Molto interessante è anche l’accordo di collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra attraverso il quale la Biennale presenterà presso le Sale d’Armi dell’Arsenale il primo padiglione dedicato alle Arti Applicate (l’idea di fondo è che l’Arsenale possa annoverare, in futuro, un padiglione dedicato in maniera permanente alla prosecuzione dell’indagine sulle Arti Applicate). Si parte con una mostra – A World of Fragile Parts – curata da Brendan Cormier che affronta il tema della “copia” come possibile soluzione per la salvaguardia del patrimonio mondiale di artefatti culturali. I musei vantano una lunga storia nella produzione di copie. Il V&A ha contribuito in maniera decisiva fin dall’Ottocento – quando furono create le Cast Courts col proposito di esporre calchi in gesso di importanti capolavori artistici – ad educare i visitatori e a rendere queste opere accessibili a coloro che non potevano viaggiare. Verso la fine del Novecento questa intensa attività di riproduzione iniziò a diminuire e le copie acquisirono una connotazione negativa, associata ai concetti di contraffazione e grossolanità. Recentemente invece hanno di nuovo assunto valore, quello della preservazione; sono tornate ad essere elementi di trasmissione di conoscenza e di cultura. “A World of Fragile Parts” indaga 200 anni di copiatura di manufatti culturali, espone pezzi che includono un facsimile de The Convention for Promoting Universally Reproduction of Works of Art (1867), una convenzione scritta da Henry Cole, primo direttore del V&A, al fine di perseguire lo scambio internazionale di copie, calchi in gesso dell’Ottocento, fotografie e chiaroscuri, assieme ad alcuni dei maggiori progetti contemporanei che hanno impiegato l’uso di copie quale strategia di preservazione.
Read MoreMilano, la smart city italiana
L’edizione 2016 di Smart City Exhibition, tenutasi presso la Fiera di Bologna, ha incoronato Milano città “più smart” d’Italia. Il progetto messo a punto nel capoluogo lombardo è infatti quello che sta offrendo i migliori risultati, soprattutto nell’ambito della produttività e della vivibilità.
La classifica è stata stilata prendendo in considerazione 6 fattori principali: aspetti economici, qualità della vita degli abitanti, tutela ambientale, capitale umano, sistema della mobilità, governance.
Il differente posizionamento delle città concorrenti rivela che i centri del nord appaiono al momento più vicini alle realtà europee nel loro tentativo di trasformarsi in luoghi intelligenti, anche se numerose località del sud hanno iniziato a investire in maniera considerevole sulla sostenibilità urbana; basti pensare a Napoli o a Matera che è già stata nominata Capitale europea della cultura 2019.
Anche la “padrona di casa”, Bologna, ha ottenuto un ottimo punteggio grazie alla sua vivibilità in quanto possiede un sistema avanzato di servizi al cittadino, per l’infanzia, la sanità e l’assistenza ad anziani e disabili.
Firenze ha invece trionfato per la mobilità sostenibile: il “Progetto Electra” ha permesso di aumentare notevolmente la diffusione dei veicoli ecofriendly. L’istallazione di 40 colonnine di ricarica e la presenza nel territorio urbano di 4000 veicoli elettrici ha ridotto le emissioni di CO2 e migliorato notevolmente la qualità dell’aria.
Nel frattempo il sindaco di Torino, Piero Fassino, ha presentato la terza fase di pianificazione strategica della città attraverso il progetto “Torino Metropoli 2025”, una piattaforma metropolitana in cui sono state definite le linee guida per la smart city torinese. Frutto di quasi tre anni di lavoro, di 150 incontri, del coinvolgimento di 230 enti e 500 persone mobilitate a vario titolo, il piano intende promuovere le vocazioni ormai consolidate della città e individuare gli strumenti e le politiche per realizzarlo. Dal Museo dell’Automobile il Sindaco ha ribadito l’idea di una città del “poter fare”, un luogo che incoraggi l’innovazione e lo sviluppo, ma anche l’inclusione sociale e la ricerca. Uno spazio accogliente, sostenibile e produttivo in cui ognuno possa trovare le condizioni favorevoli per realizzare il proprio progetto di vita e di impresa.
Sono state messe a punto due strategie valide per i 29 progetti complessivi:
1) costruire la governance metropolitana (8 progetti); 2) abilitare il sistema economico ad una nuova fase di crescita e sviluppo (21 progetti).
La prima punta a creare strumenti, politiche e pratiche di intercomunalità sul governo del territorio, servizi e funzioni amministrative. In termini di sistema, invece, l’obiettivo è aumentare la competitività dei vari fattori economici di tutta l’area metropolitana: tra questi la promozione del territorio e delle sue eccellenze, la qualificazione del capitale umano, lo snellimento della burocrazia e l’applicazione di nuove tecnologie al servizio di una città “più intelligente”.
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