Restaurare con la luce
Restaurare gli affreschi con la luce. Oggi questo appare possibile grazie a una rivoluzionaria tecnologia brevettata dall’Università di Bologna e realizzata in collaborazione con il CSIC – Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Spagna).
L’intervento, ancora in fase sperimentale, consiste nell’utilizzo di una particolare soluzione acquosa che, applicata sulla superficie da trattare e irradiata con una fonte luminosa a una specifica lunghezza d’onda, permette di dissolvere i cristalli di carbonato di calcio, una delle principali cause di deterioramento degli affreschi. Originati dalla reazione tra l’anidride carbonica nell’atmosfera e gli ioni metallici presenti nell’acqua, i carbonati possono infatti attaccare porzioni anche molto piccole di un affresco e fino ad ora potevano essere rimossi solamente utilizzando miscele di solventi in molti casi tossiche.
“Poter utilizzare la luce per controllare la dissoluzione del carbonato di calcio fa sì che il processo possa avvenire in modo molto localizzato, con un’elevata precisione, solo nell’area illuminata. Inoltre, basandosi sull’utilizzo di soluzioni acquose e utilizzando una sorgente luminosa a basso costo, questa tecnica è anche economica e sicura per gli operatori che si occupano di restauro” spiega Marco Montalti, professore del Dipartimento di Chimica Giacomo Ciamician dell’Alma Mater che ha coordinato lo studio.
Un altro aspetto davvero interessante è rappresentato dal fatto che potenzialmente il trattamento con la luce può essere applicato anche ad altre tipologie di opere d’arte quali dipinti, stampe, mosaici, sculture e monumenti.
Bologna, la luce che «ringiovanisce» le opere d’arte segnate dal tempo – CorrierediBologna.it
Read MoreLa luce artificiale come moderna chiave di racconto – La Cisterna Basilica di Istanbul
Oggi è senza dubbio uno dei monumenti simbolo di Istanbul e nel corso degli anni ha raggiunto numeri di visitatori paragonabili a quelli del Louvre e del Colosseo. La Cisterna Basilica di Istanbul (Yerebatan Sarayi in lingua turca) risalente all’epoca di Costantino e ampliata nel 532 dall’imperatore Giustiniano, è una monumentale opera idraulica ipogea che assicurava l’approvvigionamento idrico al palazzo imperiale e ai luoghi limitrofi.
Con una superficie di 140 x 70 m. e ritmata da ben 336 colonne alte 9 metri disposte su dodici file. È stata da poco riaperta al pubblico dopo un progetto di restauro firmato dallo studio Atelye 70 di Istanbul insieme agli studi, entrambi romani, Insula Architettura e Ingegneria e Studioillumina.
L’aspetto fondamentale dell’intervento ha riguardato proprio l’introduzione di un nuovo concetto di illuminazione. Attraverso l’uso sapiente della luce artificiale si è riusciti infatti ad esaltare le qualità architettoniche ed estetiche di questo luogo straordinario e unico.
Dal punto di vista concettuale la narrazione della luce prevede diversi scenari percettivi. Il percorso di andata è un’immersione in una sorta di “foresta di pietra” svelata solo dal controluce, simile a quella che doveva essere l’esperienza dei primi esploratori scesi nel sottosuolo. Tale effetto è ottenuto mediante un solo proiettore a fascio ellittico, posizionato dalla parte opposta rispetto alla direzione di percorrenza, che illumina dal basso ogni singola colonna. L’utilizzo di una diminuzione graduale dei livelli di luminosità, a mano a mano che ci si addentra,porta l’esperienza del visitatore verso un’esplorazione quasi archeologica, più intima e personale della cisterna.
Le colonne con le teste di Medusa rappresentano la fine del viaggio di andata e l’inizio del viaggio di ritorno. Qui avviene il passaggio fra il mondo orientale (stato di luce sottile e delicato) e il mondo occidentale (stato di luce materica). Da questo momento in poi il mondo bidimensionale si interrompe per lasciare spazio a quello tridimensionale che svela la cisterna nel suo lato strutturale e architettonico. A metà del percorso, in maniera inattesa e suggestiva, la cisterna si tinge delle atmosfere caratteristiche della Turchia, passando dalle cromie dell’acquamarina fino a quelle dell’ambra.
Ad aggiungere fascino è anche la possibilità di utilizzare un nuovo tipo di camminamento appositamente studiato che si snoda su leggere passerelle metalliche allestite in prossimità della base del monumento. Il visitatore si trova così a camminare quasi sul pelo dell’acqua e ad ammirare la bellezza delle volte sovrastanti.
Progetto illuminotecnico:
Studioillumina (Adriano Caputo, Federica Cammarota, Francesca Campagna, Paolo Di Pasquale, Katia Ferrulli, Filippo Marai)
Progetto architettonico:
Atelye 70 (Doğu Kaptan, Marco Lombardini, Seray Doğan, Fatma Gençdoğuş, Murat Er, Gizem Bakioğlu. Musa Beyzade); Studio di Architettura e Ingegneria Insula (Eugenio Cipollone, Paolo Diglio, Roberto Lorenzotti, Paolo Orsini)
Direzione lavori: Atelye 70
Impresa forniture speciali e impianti elettrici: Tepta Lighting
Una poesia dipinta di luce e buio
Il giorno ha preso il posto della notte o è la notte ad essersi sostituita al giorno? Si prova un senso di smarrimento nell’ammirare L’Empire des lumières, una delle più celebri ed emblematiche opere di Réne Magritte (1898-1967), artista che viene considerato il maggior esponente del surrealismo belga.
Al di là dall’essere una rappresentazione fortemente realistica e ricca di dettagli paesaggistici, l’aspetto che più colpisce è in effetti l’atmosfera estremamente misteriosa e spiazzante. Ciò è dovuto alla presenza simultanea della notte e del giorno. La prima avvolge nelle tenebre la casa, la strada, gli alberi, rischiarati solo dalla luce artificiale emessa dall’unica lanterna di un lampione, volutamente posto al centro della scena, e dal riverbero delle luci interne all’edificio che traspaiono da due finestre; il secondo, invece, caratterizzato dal cielo azzurro punteggiato da nuvole bianche.
Gli occhi, la ragione, l’esperienza quasi si rifiutano di accettarne la pacifica convivenza, ma per fortuna ci viene in soccorso lo stesso Magritte che spiega: “ Ciò che è rappresentato nel quadro sono due idee diverse, vale a dire, esattamente, un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Questa evocazione della notte e del giorno mi sembra dotata del potere di sorprenderci e incantarci. Io chiamo questo potere: la poesia”.
L’opera è dunque una sorta di sogno poetico che, secondo le teorie freudiane, abbracciate dagli artisti surrealisti, è inteso come l’essenza dell’uomo e per questo la sua rappresentazione diventa fondamentale.
Vedi l’opera nella collezione Peggy Guggenheim di Venezia:
https://www.guggenheim-venice.it/it/arte/opere/empire-of-light/
Read MoreLuce e buio nella città contemporanea
Occupandoci di illuminazione, ci siamo spesso trovati a contrapporre la luce al buio. Oggi, anche grazie ai contributi di alcuni lighting designer che hanno scritto per Arredo & Città, possiamo affermare che nel progetto di una città, dove il giorno e la notte non siano più come in passato così radicalmente distinti, questi due elementi debbano piuttosto integrarsi https://www.arredoecitta.it/wp-content/uploads/2021/06/Neri_Fondazione-Neri_AC_Arredo-Citta%CC%80_2021-N.1_Nature-and-Artifice.pdf
Alcune installazioni luminose che hanno una connotazione esclusivamente artistica insistono su questa idea. È il caso di Lucerna, inserita temporaneamente nel cortile principale del Monastero Purissima Concepció a Tortora, Spagna, in occasione del festival di architettura A Cel Obert 2021. Progettata da Bouzas. del Aguila, uno studio di architettura sperimentale con sede a Madrid consiste in una lampada monumentale che letteralmente trasforma, con la luce e il colore, l’edificio del XVII secolo. Un’altezza di oltre sei metri e una superficie di 55 mq, fanno dell’installazione un intenso contenitore di luce le cui colorazioni travalicano i confini del monastero, fino a raggiungere la strada.
Il concept del progetto si basa sulla doppia interpretazione della parola lucerna – spiegano gli autori. Oggi il termine lucerna definisce quell’apertura che si trova nella parte superiore di un edificio e che serve a introdurre la luce naturale in un ambiente. In passato era usato anche dai romani per denominare quegli oggetti per lo più in terracotta che nel buio davano luce; in altre parole, le prime lampade della storia.
Il progetto esplora la possibile intersezione tra le due accezioni, offrendo una reinterpretazione in chiave contemporanea delle lampade classiche che illuminavano gli spazi sacri più iconici della storia, dalla Cattedrale di Reims alla Moschea di Santa Sofia.
In collaborazione con la lighting designer Ana Barbier, gli architetti hanno realizzato la monumentale lucerna con sei anelli di legno, rivestiti da una striscia di luce a led sui bordi interni. Pende dal cornicione del patio principale del monastero attraverso una struttura leggera composta da fili e tenditori, mentre una membrana ondulata in fibra di vetro traslucida copre gli anelli per guidare la luce naturale e artificiale a terra. Una piccola scala proprio sotto l’installazione porta i visitatori all’interno della lampada, permettendo loro di scoprire anche di giorno il cielo aperto incorniciato dall’installazione.
Per ricollegarci alla premessa un’ installazione temporanea come quella qui descritta, che “gioca” con la luce artificiale rivelandone il potere di trasformare e arricchire la percezione di un luogo, non può non indurci a pensare che un’illuminazione confortevole non sia solo quella che, secondo una logica esclusivamente funzionale, riduce al massimo l’oscurità. La città notturna è uno spazio da vivere diversamente dal giorno, non solo perché cambiano le attività, ma soprattutto se si possono scoprire spazi nuovi, o che tali si mostrano grazie a inesplorati contrasti e alle ricercate sfumature di luce e ombra.
Read MoreL’energia solare per due piste ciclabili
Due differenti progetti di ciclabili, accomunati dall’impiego dell’energia solare rendono la bicicletta, che è già di per sé il mezzo di trasporto più ecofriendly, ancora più sostenibile.
Il primo dei due percorsi si trova in Polonia, nei pressi della località di Lidzbark Warminksi ed è stato realizzato dal TPA Instytut Badan Technicznych (Istituto Tecnologie del Futuro TPA) di Pruszkow che ha utilizzato un nuovo materiale sintetico a base di fosforo, adatto alla pavimentazione stradale e in sintonia con il paesaggio circostante. Una volta “caricato” dal sole, il materiale si accende di un blu brillante per oltre 10 ore, permettendo la percorribilità a piedi e in bici senza aggiunta di luci artificiali. Il concetto di ispira alla Van Gogh path dello studio Roosegaarde [1] anche se la tecnologia di base differisce in quanto la versione olandese utilizza i LED, mentre questa si affida totalmente all’energia solare.
L’altra pista ciclabile, lunga una trentina di chilometri, rappresenta al momento un unicum, in quanto si tratta della prima “autostrada per biciclette” al mondo. L’infrastruttura sorge in Corea del Sud al centro dell’autostrada che collega Daejeon a Sejong ed è coperta da un tetto composto da pannelli solari che garantisce un duplice scopo: proteggere i ciclisti dalla pioggia e allo stesso tempo generare energia elettrica pulita sufficiente per alimentare sia il sistema di illuminazione sia una serie di stazioni per la ricarica dei veicoli elettrici.
Resta tuttavia il fatto – non certo trascurabile – che ci si trova a percorre in bicicletta uno stretto corridoio posto nel mezzo di una strada dedita a supportare grandi volumi di traffico motorizzato ad alta velocità: tutto l’opposto del movimento lento e della possibilità di ammirare il paesaggio che sono le principali caratteristiche offerte dall’utilizzo di questo mezzo di trasporto.
[1] Di questa pista ciclabile abbiamo già dato notizia sulla rivista Arredo & Città 1 2020 “Nel paesaggio. Itinerari leggeri alla scoperta del territorio” pp. 74-75
https://www.arredoecitta.it/it/riviste/nel-paesaggio-itinerari-leggeri-attraverso-il-territorio/
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Il Grattacielo della luce
General Electric Building è il nome di un grattacielo situato nell’East Side di Manhattan, in prossimità dell’incrocio tra la 52ª strada e Lexington Avenue. La sua peculiarità sta nell’essere stato pensato per ospitare la sede principale della General Electric, società fondata a fine Ottocento da Thomas Edison, inventore della rivoluzionaria lampadina elettrica a filamento incandescente.
L’edificio, progettato nel 1928 dall’architetto John Walter Cross, fu terminato tre anni dopo e divenne subito uno dei simboli architettonici della metropoli statunitense, dichiarato New York City Landmark e annoverato nel prestigioso National Register of Historic Places.
Su alcune scelte progettuali ha sicuramente influito la limitrofa chiesa di San Bartolomeo, soprattutto per il tipo di materiali impiegati (mattoni a vista) e per i colori del rivestimento esterno, un accostamento quanto mai indovinato dato che lo stile del G.E Building, pur essendo fortemente ispirato all’Art déco, comprende un complesso apparato decorativo caratterizzato da stilemi di chiara derivazione neogotica.
Il grattacielo si compone di un basamento di 15 piani, rastremato progressivamente verso il venticinquesimo, da dove si innalza la struttura della torre a pianta ottagonale che raggiunge i 195 metri di altezza per un totale di 50 piani. Lo splendido ingresso è situato alla base dell’unico angolo a vista che appare arrotondato e caratterizzato da un incavo scandito da undici coppie di finestre curve alternate a blocchi sagomati di terracotta. Al piano stradale, sopra il portale scolpito in porfido rosso, spicca un orologio in acciaio cromato che riporta il monogramma della General Electric (GE), sormontato da un’ulteriore decorazione allegorica in metallo che rappresenta due braccia le cui mani impugnano una saetta.
La sommità è decisamente l’elemento più caratterizzante. Costituita da un fitto decoro in terracotta a riprodurre un complesso insieme di guglie, pinnacoli e gargoyles, evoca le forme dei fulmini e delle onde radio; una vera e propria allegoria ideata allo scopo di magnificare la potenza dell’elettricità. A completare il tutto non poteva certo mancare, considerata la funzione cui era destinato l’edificio, un articolato sistema di illuminazione esterno, in particolare proprio sulla cima che di notte la fa apparire come la fiamma di una monumentale torcia accesa.
Dagli anni ’70 gli uffici direttivi della G.E. sono stati trasferiti prima presso il Rockfeller Center e poi, dal 2015, nella nuova sede operativa di Fairfied. Oggi all’interno del grattacielo è ospitato il quartier generale della RCA Records, celebre etichetta discografica sempre di proprietà del gruppo Genereal Electric.
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