Cambiano le luci, restano i pali!
Corso Umberto I, conosciuto anche come “Rettifilo”è un importante viale di Napoli inaugurato nel 1894 con la funzione di collegare il centro cittadino alla Stazione ferroviaria di piazza Garibaldi. All’inizio del XX sec., pochi anni dopo la sua apertura, si decise di illuminarlo in maniera adeguata – e con esso gran parte dei nuovi e moderni palazzi che vi si affacciavano – mediante l’installazione di una singolare tipologia di pali in fusione di ghisa prodotti dall’opificio napoletano E. Treichler.
Si trattò di un progetto di illuminazione all’avanguardia per quei tempi: una strada larga 18m per oltre un chilometro di lunghezza con i punti luce posizionati a 10,50m da terra e a un’interdistanza di 50m su ogni lato con disposizione a quinconce. Alla monumentalità del progetto si affiancava l’eleganza dei sostegni in cui spiccava un imponente basamento (238 cm di altezza per 860 kg di peso) impreziosito da decori floreali e animali di squisita fattura e un’originale cima che culminava con una statua femminile reggi lampada.
Proprio l’eleganza è stata uno dei principali fattori che ha permesso a questi manufatti, diversamente da tanti altri, di sopravvivere per oltre un secolo sul luogo originario; ciò che è cambiato nel corso del tempo è la tecnologia applicata alla luce. Foto e cartoline d’epoca ci mostrano due delle trasformazioni più significative che consistettero nella sostituzione delle vecchie lampade a incandescenza con bulbi fluorescenti (2 lampade da 400 W l’una) avvenuta a metà degli anni Cinquanta e la successiva introduzione di lampade ancora più potenti a vapori di mercurio da 1000 W, in considerazione del sensibile incremento del traffico automobilistico, realizzate su licenza dell’americana General Electric a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
Non si ritenne invece di sostituire i sostegni esistenti con altri più semplici e moderni per non privare Corso Umberto di quegli elementi che avevano notevolmente contribuito alla fama di fastosità dell’importante arteria partenopea. Oggi al di fuori della città di Napoli solo Catania ospita in piazza Duomo quattro lampioni identici fusi, tra l’altro, dalla stessa fonderia campana. A questi si aggiunge l’esemplare originale conservato al MIG che rappresenta uno dei vanti della sua collezione.
Read MoreLe luci di San Giacomo
Nel buio della Scala il chiarore dei coppi è un crescendo continuo di luci tremolanti che trasformano la notte in una lunga e magica emozione. Siamo in Sicilia, a Caltagirone, centro insignito nel 2002 del titolo di Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, e davanti a noi si erge in tutta la sua maestosità il monumento emblematico della città, la Scalinata di Santa Maria del Monte.
142 scalini, mica male per una scalinata costruita nel 1606 da Giuseppe Giacalone – capomastro del Regno – lunga 130 metri, larga 8 e resa ancora più celebre grazie all’intervento dell’appassionato ceramista Antonio Ragona che nel 1954 ha provveduto a decorare in ceramica policroma caltagironese tutte le alzate dei gradini ispirandosi al lavoro dei più grandi maestri maiolicani attivi in Sicilia nell’arco di un intero millennio (X-XX sec.). Sono proprio i decori ad attirare i numerosissimi visitatori e ad accompagnarli fino in cima a questo gioiello architettonico.
Nelle sere del 24 e 25 luglio, in occasione della festa patronale di San Giacomo, proprio qui va in scena uno spettacolo unico al mondo che riprende una tradizione secolare risalente al Seicento. Migliaia di coppi, preparati e colorati rigorosamente a mano, secondo un’antica maestria che si tramanda di padre in figlio, vengono posti sui gradini della scala in modo da formare un unico meraviglioso disegno. Ciascun coppo contiene della sabbia sulla quale vengono poste le lumére (luminarie), piccoli recipienti in terracotta contenenti olio d’oliva e dotati di stoppino in cotone che al momento opportuno saranno accesi da centinaia di persone munite di piccole aste di legno.
Nel giro di pochi minuti una luce fiammeggiante illuminerà i coppi offrendo una visione indescrivibile: i giochi di luce che rischiarano i gradini trasformano le maioliche delle alzate in un vero e proprio arazzo di fuoco che dura fino al consumo di tutto l’olio presente all’interno dei recipienti. Nella stessa notte gli addetti ai lavori provvederanno poi a riposizionare i coppi e ad allestire un nuovo grande disegno per il giorno successivo.
L’evento rappresenta un’opportunità molto interessante anche per rivivere l’atmosfera notturna delle città al tempo dell’illuminazione ad olio, tecnica rimasta per lo più invariata per oltre 2000 anni fino a quando con l’introduzione del gas alla metà del XIX sec., ma soprattutto dell’energia elettrica – processo portato a compimento nei primi due decenni del ‘900 – l’illuminazione urbana subirà una trasformazione epocale.
Read MoreNatale con le “luci d’artista”
Per il dodicesimo anno va in scena a Salerno la spettacolare e suggestiva esposizione di luminarie artistiche natalizie. Dopo Torino, che per parecchi anni è rimasta l’unica città a sperimentare in maniera innovativa un modo di addobbare le vie e le piazze che non fosse solo un’esposizione di luci colorate ma anche un’occasione per comunicare significati, da alcuni anni l’attenzione si sta concentrando anche sul capoluogo campano le cui strade, piazze e aree verdi ospitano fino al 21 gennaio ambientazioni fantastiche che fanno riferimento ai fondali marini e alle foreste, al circo, agli animali, all’immensa volta celeste. Seguendo l’intera produzione, opera di artisti, il visitatore viene coinvolto in un viaggio emozionante alla scoperta di una città ricca di storia, arte e cultura.
Tra i “luoghi illuminati” spiccano la Villa Comunale, trasformata per l’occasione in un’arca di Noè e piazza Sant’Agostino in cui è possibile assaporare l’atmosfera tipica della costa amalfitana grazie ad effetti ottici ma anche olfattivi stimolati dagli inebrianti profumi dei suoi rinomati limoni.
In piazza Flavio Gioia, invece, è allestito il set del regno marino dominato dal tridente fiammante di Nettuno che, circondato dalla sua corte di tritoni, sirene, delfini e ippocampi, emerge dagli abissi a popolare le facciate dei palazzi.
E’ un progetto finalizzato ad incrementare il turismo in questo particolare periodo dell’anno e a far conoscere una città anche nei suoi aspetti che la caratterizzano permanentemente.
Con questi immagini lo staff della Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa vi augura un Buon Natale e Felice 2018
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Transatlantici, quando la nave si fa stile
Prima che nelle metropoli, molti progressi della scienza e della tecnica sono stati sperimentati e perfezionati a bordo delle grandi navi da crociera. Già a partire dal 1879 è l’americano Thomas Edison, padre della lampadina elettrica, a mettere in scena la prima dimostrazione pratica di questo rivoluzionario sistema di illuminazione – con l’ausilio di ben 150 lampade – non in una piazza cittadina o all’interno di un edificio, bensì sul piroscafo Columbia.
È nel corso degli anni Trenta che il più lungimirante dei mezzi di trasporto storici vive la sua parabola ascendente. A quell’epoca gli idrovolanti transoceanici non hanno ancora iniziato il servizio di linea fra le Americhe e l’Europa: unica alternativa rimane la motonave da crociera. E una volta imbarcati su questi giganti del mare è necessario far passare il lungo tempo del tragitto nel miglior modo possibile.
Nella prima classe del Saturnia, così come su ogni “città galleggiante” che si rispetti, il ballo nel salone delle feste diventa quindi un rito quasi obbligatorio a cui è difficile sottrarsi. Il ponte del Rex, invece, si presta ad ospitare una piscina di proporzioni gigantesche con tanto di ringhiera in ghisa a delimitarne il perimetro. Questo luogo è frequentato anche di notte: alle seppur numerose stelle in cielo corre in soccorso la luce artificiale fornita da eleganti paletti, anch’essi in fusione di ghisa, che sostengono sulla cima una sfera luminosa.
Sui transatlantici c’è anche spazio a volontà, motivo per cui sul ponte superiore del Conte Rosso, tra una scialuppa e un fumaiolo, si improvvisa il gioco del volano con tanto di rete e di spettatori a godersi lo spettacolo.
Read MoreLa bellezza scolpita di Donna Franca
Il restauro, finanziato dalla Fondazione Paola Droghetti Onlus, è appena terminato. La scultura è stata realizzata tra il 1904 e il 1907 da Pietro Canonica e costituisce uno dei più noti capolavori custoditi nel museo dell’artista a Villa Borghese (Roma). Grazie alla sua abilità di ritrattista egli è riuscito a trasferire nel marmo il carattere forte e orgoglioso di Donna Franca, immortalandola in una posa di altera e aristocratica eleganza.
Donna Franca era lamoglie di Ignazio Florio, discendente di una delle famiglie più illustri e influenti d’Italia, una casata che ha indissolubilmente legato il proprio nome alla città di Palermo e a quanto di meglio il capoluogo siciliano ha conosciuto in imprenditoria, filantropia, iniziative culturali e sociali.
Donna Florio, alias Franca Paola Jacona di San Giuliano, anche lei nobile e bellissima, assidua frequentatrice dei più importanti salotti dell’aristocrazia europea e delle corti reali, era adulata e amata da numerosi artisti come D’Annunzio e Boldini.
La scultura in marmo che la raffigura, tornata al suo antico splendore, verrà esposta al Complesso del Vittoriano dove dal 29 maggio al 16 luglio prossimi andrà in scena una grande mostra dedicata proprio a Giovanni Boldini; tra i tanti lavori esposti ci sarà la possibilità di ammirare, vicino all’opera del Canonica, anche il famoso ritratto a figura intera che il pittore ferrarese dedicò a Donna Franca nel 1914.
Le attività svolte dai Florio, che raggiunsero l’apogeo economico con Ignazio senior, padre di Ignazio junior (marito di Donna Franca) furono davvero numerose: da grandi armatori, a proprietari di tonnare e produttori del celebre vino Marsala, da deputati a fondatori della celeberrima corsa automobilistica Targa Florio. Non tutti sanno però che i Florio aprirono a Palermo anche una grande fonderia – l’Oretea – rimasta a lungo il più importante polo metalmeccanico della Sicilia. Dal reparto artistico dello stabilimento sono usciti quei manufatti in fusione di ghisa (soprattutto lampioni) che hanno arredato e abbellito tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo non solo le piazze di Palermo ma anche quelle di tante altre città del Mezzogiorno.
Read More“Quei giganti che facevano luce”
Dalle centrali della Valtellina a quelle del Friuli, dai termovalorizzatori lombardi agli splendidi invasi della Calabria. Alla Casa dell’Energia e dell’Ambiente di Milano prosegue fino al 27 gennaio la mostra “Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem”.
Oltre 100 immagini raccontano i luoghi, gli edifici, le architetture dediti alla produzione italiana di energia: l’itinerario espositivo si articola in due sezioni che ripercorrono la storia di questi siti dai primi del ‘900 fino ai giorni nostri.
Scatti fotografici in bianco e nero, conservati negli archivi dell’Azienda energetica municipale milanese (Aem) ritraggono le imponenti centrali storiche, così come le officine, le ricevitrici, i monumenti elettrici, oltre a dettagli dei macchinari, dei quadri di manovra per le linee elettriche o per il servizio tramviario.
Spesso queste strutture sono state progettate da grandi architetti come Piero Portaluppi (centrale idroelettrica del Roasco) o Giovanni Muzio (centrale di Calausia in Calabria), uno degli esponenti più rappresentativi del Monumentalismo e autore, tra l’altro, dei paletti in rame, a forma di stelo cilindrico, installati nel Parco Sempione di Milano per illuminare i giardini della Triennale del 1933.
A queste immagini si aggiunge la campagna fotografica a colori realizzata da Radino nel 2016 che illustra gli edifici simbolo dell’Aem e le nuove architetture del Gruppo A2A che uniscono funzionalità e tecnologia all’estetica costruttiva.
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