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L’ANNUNCIO DEGLI ANGELI

Posted by on Dic 17, 2024 in Il mondo della ghisa | 0 comments

In occasione della rassegna “Longiano dei Presepi”, giunta quest’anno alla trentaquattresima edizione, dall’8 dicembre 2024 al 12 gennaio 2025 la Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa presenta, presso la sua sede espositiva di Santa Maria delle Lacrime, il Presepe intitolato “L’annuncio degli Angeli” che utilizza come scena una cassa d’anima.

Quella che tecnicamente viene chiamata cassa d’anima si presta molto bene ad ospitare la Natività e quindi il nostro Presepe, che abbiamo da sempre voluto allestire tenendo conto dei temi specifici del Museo: la ghisa e la sua lavorazione, l’illuminazione delle città.

Cos’è la cassa d’anima?

In fonderia il modello rappresenta la figura dell’oggetto che si vuole ottenere. Se questo presenta dei vuoti interni – per esempio un palo della luce in ghisa – a realizzarli è l’anima. Anche l’anima deve essere prodotta tramite un modello, in questo caso detto cassa d’anima, che ne riproduce la forma stessa in negativo. Le casse, generalmente in legno o in materiale metallico, sono costituite da due matrici che, una volta chiuse, riproducono la cavità corrispondente all’anima. Questo è il singolare contenitore all’interno e attorno al quale va in scena il Presepe pensato per questa edizione.

La cassa d’anima è la stessa che abbiamo utilizzato lo scorso anno, ma orientata diversamente, in verticale anziché in orizzontale. Abbiamo così potuto dare risalto, oltre che al gruppo della Natività, alla schiera di Angeli che la notte di Natale hanno annunciato ai pastori e a tutte le genti la nascita del Salvatore cantando “Gloria nell’alto dei Cieli”.

All’esterno la cima di un palo monumentale proveniente da Bergamo viene allestita durante il periodo natalizio con figure che rappresentano il Presepe, ben visibili quando comincia a fare buio e le lanterne si accendono.

Oltre alle consuete aperture del sabato e della domenica pomeriggio, il museo resterà aperto tutti i giorni dal 21 dicembre al 6 gennaio dalle 14.30 alle 18:30

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Quei lampioni de La Domenica del Corriere

Posted by on Nov 18, 2024 in Il mondo della ghisa | 0 comments

Sulle pagine de “La Domenica del Corriere” del 10 maggio 1903 viene dato ampio risalto a un evento ritenuto dalla stampa dell’epoca più unico che raro, ovvero la visita a Roma, nella stessa settimana, di ben due ospiti coronati: Re Edoardo VII d’Inghilterra e Imperatore delle Indie, e Guglielmo II Imperatore di Germania. Testi e immagini fotografiche ricostruiscono la cronaca di quelle giornate, alle quali sono dedicate anche i disegni di Achille Beltrame, a tutta pagina e a colori, della prima e quarta di copertina.

Su quest’ultima è raffigurato Guglielmo II affacciato al balcone di rappresentanza del Palazzo del Quirinale; guardando un po’ più in basso, ai lati del monumentale ingresso, sono perfettamente riconoscibili la colonna e la cima, a più luci, di due “sentinelle” che emergono al di sopra della folla festante. Sono due esemplari di un modello di lampione, a forma di candelabro, che iniziò a diffondersi alla fine dell’800 per illuminare, dapprima con il gas, poi con l’energia elettrica le principali piazze e strade della capitale.

I due lampioni ottocenteschi a forma di candelabro

Tra le tipologie in assoluto più eleganti, era prodotto dalla locale Fonderia Alfredo Spadaccino e funzionava a quattro luci, di cui tre sostenute da mensole e una dal palo, che, proprio sulla cima, si trasformava in una sorta di pianta, con tanto di foglie e fiori, estesi anche ai bracci. La base, a forma di parallelepipedo, presentava al centro di ogni lato lo stemma comunale di Roma con la sigla SPQR. Il candelabro illuminava zone prestigiose del centro storico, tra cui Piazza Navona, Piazza del Popolo, l’area del Pincio, la facciata di Palazzo Madama e dunque anche lo spazio prospiciente il Quirinale, dove in quell’ormai lontano maggio di inizio ‘900 erano accorsi i romani per vedere e salutare l’illustre ospite tedesco.

Roma, i lampioni in piazza Navona e al Pincio (sotto), cartoline storiche

“La Domenica del Corriere”, settimanale italiano fondato a Milano, apparve per la prima volta nelle edicole l’8 gennaio 1899 come supplemento illustrato del Corriere della Sera. Stampata in grande formato, si componeva di 12 pagine e veniva distribuito gratis agli acquirenti del Corriere, oppure  poteva essere acquistato al prezzo di 10 centesimi. Non fu mai concepito come periodico di informazione, ma piuttosto come un “settimanale degli italiani” sul quale venivano riportati, come su un calendario, i numerosi fatti, più e meno importanti della quotidianità. La prima e ultima di copertina erano sempre disegnate dalla mano di un giovane Achille Beltrame, al quale il Corriere affidò il compito, per oltre quarant’anni, di illustrare il fatto più interessante della settimana.

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Il restauro: una prospettiva ancora attuale

Posted by on Set 4, 2024 in Il mondo della ghisa | 0 comments

È il titolo dell’ultimo numero della rivista Arredo & Città dedicato al restauro dei lampioni e degli arredi storici in ghisa 24C0613_AeC_n1_2024_Restauro-web.pdf (arredoecitta.it

Il recupero della loro funzionalità, che ne consente la restituzione all’ambiente urbano originario, e che è divenuto sinonimo di impegno culturale a difesa dell’immagine che caratterizza il volto delle città, rappresenta la mission del progetto di salvaguardia del patrimonio artistico in ghisa dell’azienda Neri. Specializzatasi in questo settore, essa ha maturato un’esperienza unica che le permette di affrontare interventi, anche particolarmente impegnativi, non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Le competenze tecniche e tecnologiche dell’azienda sono supportate dall’attività di ricerca della Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa, che attraverso lo studio delle fonti storiche  fornisce la documentazione necessaria a recuperare, sia esteticamente che funzionalmente, gli antichi manufatti. Dal momento che ripristinare le forme originali significa talvolta ricostruire parti irrimediabilmente danneggiate o di reintegrare pezzi che nel tempo sono andati perduti, la Fondazione mette a disposizione dell’azienda il materiale (fotografie, cartoline storiche, cataloghi di fonderia), consultando il quale è possibile, anche attraverso le nuove tecnologie oggi a disposizione, ricostruire i modelli e realizzare nuove fusioni.

I restauri presentati sul numero, tutti corredati di testi e fotografie, riguardano in Italia: Venezia, Firenze, Stresa (Verbania, Cuso, Ossola) Forlì, Giulianova (Teramo), Bologna, Imola (Bologna), Enna, Sulmona (L’Aquila), Benevento, Martina Franca (Taranto), Favignana (Trapani), Chiavari (Genova), Livorno. All’estero: Cork (IE), Lima (PE), New Dehli (IN).

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Nuovi arrivi in Museo

Posted by on Giu 13, 2024 in Il mondo della ghisa | 0 comments

La sede espositiva della Fondazione Neri nel borgo di Longiano, ospitata all’interno della chiesa di Santa Maria delle Lacrime, si è arricchita di due nuovi, per la verità antichi, pali in ghisa destinati all’illuminazione pubblica.

Il primo è un manufatto prodotto in Sicilia, anche se non sappiamo da quale delle numerose fonderie che hanno operato sull’isola fino ai primi decenni del ‘900. Solo in apparenza semplice e di dimensioni ridotte, reggeva una cima a quattro luci ed era stato pensato per una collocazione sopraelevata da terra. La base, munita di quattro peduncoli, fungeva da elemento di raccordo per una seconda basetta esagonale sottostante che nell’elemento qui esposto è andata perduta, così come la cima che si innestava sul capitello. Notevoli i decori nella parte inferiore della colonna: lunghe foglie con l’apice ripiegato verso l’esterno che si dipartono da quattro conchiglie. Quattro esemplari identici sono ancora oggi installati sulla scalinata del Duomo di Lercara Friddi (Palermo) e a Niscemi (Caltanissetta).

La mancanza di ornamenti caratterizza, invece, il secondo esemplare. Ciò potrebbe indurre a ritenere che si tratti di un palo modesto, progettato per portare la luce in luoghi decentrati, o comunque marginali. In realtà si può definire una delle tipologie più sobrie ed eleganti di tutta la produzione ottocentesca italiana, molto diffusa nelle regioni settentrionali e presente, con leggere varianti, sui cataloghi di vendita di diverse fonderie dell’epoca. Funzionante a gas, illuminava anche centri importanti come Milano (tutto il centro storico, compresa piazza del Duomo) Cremona, Rimini. Nel capoluogo romagnolo i pali erano presenti in piazza Giulio Cesare, oggi Tre Martiri, e davanti allo storico Grand Hotel, inaugurato nel 1908. L’esemplare in museo, inoltre, è presentato completo della sua fondazione, ciò permette di osservare da vicino questo elemento – che svolge la funzione portante – altrimenti non visibile in quanto interrato sotto al piano di calpestio.

Rimini (sinistra), Milano (centro), Cremona (destra)

Un’ultima curiosità riguarda la Fonderia di Dongo, che lo ha prodotto nel 1865: si tratta dello stesso stabilimento artefice anche del Ponte delle Sirenette nel parco Sempione a Milano, già trattato nell’articolo precedente e a cui rimandiamo per maggiori informazioni.

Il ponte delle Sirenette | Arredo Design Città (arredodesigncitta.it)

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Il ponte delle Sirenette

Posted by on Giu 5, 2024 in Il mondo della ghisa, Itinerari | 0 comments

“È lavoro uscito da quest’officina il piccolo ma elegante ponte in ferro sul naviglio di Milano fra il ponte di porta Tosa e quello di San Damiano. I bassi-rilievi e le statue furono modellate sui gessi del riputato scultore Cacciatori; e solo dispiace che per questo grazioso lavoro sia stata scelta una ubicazione così poco convenevole, a tal punto che ei rimane quasi inosservato” (Dizionario Corografico Universale dell’Italia, 1850, p. 299)

Osservato e ammirato lo è invece oggi, e come, il ponte delle Sirenette, trasferito negli anni ‘30 nel parco Sempione in seguito alla copertura del Naviglio interno. La sua è una storia lunga e curiosa, a partire dal fatto che si tratta di uno dei primi ponti metallici in Italia, il primo a Milano, inaugurato nel 1842 dall’arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto, in onore dell’imperatore austriaco Ferdinando I. Il progetto reca la firma dell’ingegnere Francesco Tettamanzi che ne commissionò la fusione alla ditta comasca Rubini-Falck nella fonderia di Dongo, sul lago di Como.[1]

Fin da subito furono motivo di grande scandalo le quattro statue in ghisa, raffiguranti sirene, poste sui montanti a decoro della struttura. Esse apparivano così sensuali e senza veli da lasciare interdetti i milanesi dell’epoca; si racconta che era così forte l’imbarazzo suscitato fra le signore da spingerle a coprirsi lo sguardo mentre lo attraversavano. E proprio alla presenza delle sirene si devono gli altri nomi con i quali il ponte venne ribattezzato: primo fra tutti “il ponte delle sorelle Ghisini” poiché le statue erano realizzate in fusione dighisa.

Ma in realtà l’opera piaceva, soprattutto per l’armonia delle proporzioni, e col passare del tempo divenne uno dei monumenti più iconici della città. Più che un ponte vero e proprio consisteva in una passerella pedonale che attraversava il fossato in via San Donato e fungeva da unica via d’accesso ai palazzi posti sulla sponda opposta. Poi, come già accennato, negli anni ’30 del Novecento i Navigli vennero interrati per ragioni sanitarie, ma il Comune decise di salvarlo reputandolo un’opera di importante valore storico-artistico. Fu smontato, pezzo per pezzo, e ricostruito all’interno del vicino parco Sempione, Sfortunatamente durante i lavori una parte della ringhiera si ruppe e fu necessario sostituirla con del ferro tubolare. Anche due delle quattro sirene sono oggi copie in bronzo delle originali andate perdute (una a causa dei bombardamenti durante il secondo conflitto bellico mondiale, l’altra rubata nel 1948).

A distanza di quasi un secolo il ponte accoglie ancora passanti e frequentatori in un’ansa del laghetto posto al centro del parco con il Castello Sforzesco sullo sfondo; le sirene non scandalizzano più nessuno, anzi sono tra le più fotografate e instagrammate di questo polmone verde nel cuore di Milano.


[1] Nel 1792 Pietro Rubini acquistava le miniere, il forno e le fucine di Dongo (CO) dal nobile Cesare Giulini, dando origine alla Ferriera di Dongo. Nel 1833 chiamò come consulente dalla Francia l’ingegnere meccanico, specializzato in siderurgia, Georges-Henri Falck. L’apporto di innovazioni introdotte da Falck, divenuto col tempo socio dell’impresa, si rivelò così decisivo che la ferriera si avviò a diventare una delle acciaierie più moderne ed efficienti dell’intera Penisola. Tornato in Francia nel 1865, Falck lasciò la guida al figlio Enrico che nel frattempo aveva sposato Irene Rubini, l’erede dell’acciaieria, trasferendo così la proprietà dell’azienda nelle mani della famiglia Falck.

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