Il mondo della ghisa

ARREDO & CITTÀ – Passato, presente e… futuro

Posted by on Nov 16, 2020 in Il mondo della ghisa | 0 comments

Diversi articoli pubblicati sul nostro blog sono spesso estratti di approfondimenti già ampiamente dibattuti sulle pagine di Arredo & Città, la rivista della Fondazione Neri. Con uscita semestrale, dall’ormai lontano 1988, il periodico tratta argomenti riguardanti il recupero e la valorizzazione del patrimonio urbano. Vera protagonista è la città otto-novecentesca che per la prima volta nella storia utilizza un rivoluzionario prodotto industriale  – la ghisa – a complemento dell’architettura e per l’arredo dei moderni centri, ormai in rapida espansione.

Sulla base di queste ricerche sono nate negli anni una serie di monografie pensate intorno ai principali manufatti di arredo urbano come lampioni, fontane, panchine, ringhiere e grandi strutture (serre, padiglioni, gallerie o gazebo) che spesso combinano la solidità del metallo con le trasparenze del vetro.

Col tempo non è tuttavia mancata la presenza di argomenti di attualità sulle nuove conoscenze per la progettazione, motivo per cui la rivista si è impegnata, e si impegna tuttora, a presentare gli studi di trasformazione migliorativa di piccole o grandi porzioni di aree urbane. Al centro è posta quasi sempre la problematica attuale degli spazi pubblici, della loro identità e del loro ruolo, o più in generale della funzione della dimensione pubblica nella società contemporanea. Ma con un occhio la rivista guarda anche al futuro, essendo interessata a capire come saranno le nostre città sotto l’aspetto dell’abbellimento, della sostenibilità e della socialità.

Dopo oltre vent’anni di distribuzione cartacea, Arredo & Città esce oggi in formato elettronico ed è possibile scaricare tutti i numeri in versione pdf. Per informazioni consultare il sito web: www.arredoecitta.it

 

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Da Firenze a Città del Messico

Posted by on Ott 1, 2020 in Il mondo della ghisa, Itinerari | 0 comments

Da oltre un secolo (febbraio 1907) Città del Messico dispone di un vero e proprio gioiello architettonico deputato allo smistamento della posta: Palacio de Correos. Si tratta di un’architettura mista, progettata dall’architetto italiano Adamo Boari, che richiama da un lato il gotico veneziano e dall’altro l’art nouveau. Chi visita la metropoli messicana resta affascinato dal suo esterno grandioso e da un interno che, per eleganza, non è da meno. Lo si deve soprattutto al fatto che Boari pensò di avvalersi del contributo di un prestigioso stabilimento, sempre italiano, per “rivestire” di ghisa artistica bronzata i numerosi marmi impiegati per dar vita alle scale, ai banchi e ai tavoli dell’edificio: la Fonderia del Pignone

Il tutto rivela un’altissima maestria. Colpiscono, soprattutto, gli elementi decorati che compongono le ringhiere dello scalone di rappresentanza e le balaustre del primo piano, così come l’ossatura metallica che accoglie l’ascensore. Un ruolo molto importante dal punto di vista estetico è affidato anche all’illuminazione, che si materializza nella presenza di numerose lampade a forma di sfera, sostenute in parte da mensole a muro e da lampadari, in parte dagli stessi montanti delle ringhiere e delle balaustre.

Palacio de Correos, dett. di interno,  by Diego Delso, "Diego Delso, delso.photo, LicenseCC-BY-SA", CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30839466

Palacio de Correos, dett. di interno, by Diego Delso, “Diego Delso, delso.photo, LicenseCC-BY-SA”, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30839466

La Fonderia del Pignone nasce a Firenze negli anni in cui Leopoldo II apre per la prima volta la Toscana all’Europa, favorendo il mutamento in senso industriale dei metodi di lavorazione fino a quel momento ancora artigianali. Con la realizzazione di ponti sospesi e della moderna chiesa di San Leopoldo a Follonica –  il cui pronao è interamente in ghisa – lo stabilimento fiorentino si impone a livello nazionale, e non solo. Lo dimostra la presenza all’estero di manufatti di sua produzione, come quelli sopra descritti, elementi di arredo così eleganti e finemente rifiniti da fare concorrenza a quelli usciti dalle più famose fonderie europee, come quelle francesi

Alla Fonderia del Pignone abbiamo dato ampio spazio sul n.1|2004 della rivista Arredo & Città https://www.arredoecitta.it/it/riviste/le-fonderie-toscane/

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Il lampione sulla Linea Gustav

Posted by on Lug 27, 2020 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa | 0 comments

Ortona, dicembre 1944. Dopo quattro giorni di furiosi combattimenti le truppe alleate entrano in città, ridotta ormai a un cumulo di macerie. La località abruzzese è posta all’estremo confine orientale della Linea Gustav, fortificazione difensiva voluta da Hitler che taglia in due l’Italia partendo dalla foce del Garigliano, sul Tirreno, fino all’Adriatico, con termine proprio ad Ortona. A nord dello sbarramento si trova il territorio in mano ai nazi-fascisti, mentre a sud quello occupato dagli Alleati. L’ordine impartito dallo stesso Führer “la fortezza di Ortona deve essere difesa fino all’ultimo uomo” è tassativo, a prova dell’importanza strategica del luogo. La sua conquista, infatti, aprirebbe agli Alleati la strada per Pescara e Avezzano, e da lì per Roma. Sulla città si abbattono più di un milione di proiettili di artiglieria. Sfondata la linea difensiva i soldati canadesi si riversano in città ingaggiando un scontro col nemico casa per casa. Il bilancio finale, che porta alla liberazione di Ortona, è drammatico: 800 caduti tedeschi, 1300 civili, 1400 canadesi.

Un’immagine di quelle giornate è immortalata su una cartolina storica conservata nell’Archivio della Fondazione Neri. Alcuni fanti del 22° reggimento Seaforth Highlanders avanzano per le vie distrutte del centro; alla loro sinistra, tra un cannone e un carro armato, è ben riconoscibile la porzione inferiore della colonna di un lampione impiegato per l’illuminazione pubblica. Non si tratta di un pezzo qualsiasi, bensì di quello che sopravvive di una delle tipologie più interessanti, e in assoluto più eleganti, di tutta la produzione ottocentesca italiana.

Dicembre 1944, i soldati canadesi entrano ad Ortona. Al centro si riconosce parte del candelabro storico

Dicembre 1944, i soldati canadesi entrano ad Ortona. Al centro si riconosce parte del candelabro storico

Il palo, funzionante originariamente a gas, è stato pensato per reggere due o più mensole con relativi corpi illuminanti. Si compone di due sole parti: la base e una colonna-stelo, quest’ultima realizzata in un’unica fusione di squisita fattura. La colonna è completamente rivestita da una variegata decorazione vegetale, con una successione ininterrotta di foglie d’acanto, di quercia e di vite: le foglie d’acanto, subito al di sopra dell base, hanno l’estremità che accenna a piegarsi verso l’alto, mentre assai più ripiegate verso il basso si mostrano le foglie di palma che appaiono come un fiore che sta per sbocciare. Essendo le foglie ripiegate fuse insieme alla colonna, e non applicate successivamente, il manufatto risulta essere una vera opera d’arte fusoria sia per le difficoltà di realizzazione che per il risultato estetico.

Esemplari identici sono stati da noi documentati in altri centri, tutti dislocati nel centro-sud della Penisola. Tra questi Palermo (in origine collocati in varie zone della città come il Foro Italico, Porta Felice, Porta Nuova, davanti all’ingresso di Villa Giulia), Acireale, Catania, Napoli e Avellino. Alcuni riportano sulla base la data 1856 a testimoniare come la loro produzione risalga, addirittura, all’epoca preunitaria.

Acireale (CT), un esemplare di candelabro sopravvissuto

Acireale (CT), un esemplare di candelabro sopravvissuto

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Trieste, sul molo la storia dell’illuminazione

Posted by on Mar 11, 2020 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa, Itinerari | 0 comments

Trieste è tra le poche fortunate città che sono riuscite a salvare gran parte del proprio patrimonio storico di arredo urbano in ghisa. Mirati interventi di restauro, compiuti in anni recenti, hanno riguardato anche i pali destinati all’illuminazione delle banchine portuali, in particolare quelli collocati sul molo Audace, a pochi passi dalla centralissima piazza Unità d’Italia.

Rivoluzionari per l’epoca, considerato il fatto che funzionavano elettricamente (l’illuminazione elettrica appare la prima volta a Trieste nel 1898) essi vennero dapprima montati su di un basamento in pietra per poi subire alcune modifiche a partire grosso modo dagli anni ’20. La più rilevante consistette nell’inserimento di una nuova base in sostituzione del precedente piedistallo, questa volta realizzata, come il resto del manufatto, completamente in ghisa. La cima, invece, non solo restava sempre la stessa, ma diventava l’elemento caratterizzante, capace di contraddistinguere un elevato numero di esemplari triestini presenti in altre importanti zone del centro storico.

Trieste, i lampioni a pastorale recuperati del molo Audace

Trieste, molo Audace, gli originali lampioni a pastorale oggi recuperati

 

La sua caratteristica forma a “pastorale”, termine che deriva dal fatto di assomigliare al bastone ricurvo impiegato dai vescovi nelle principali cerimonie liturgiche, ritorna anche sui pali di piazza Unità d’Italia, così come su quelli delle piazze Goldoni e della Borsa, davanti alla facciata del Teatro Verdi o lungo il Corso. Sullo stelo verticale, chiuso da una pigna alla sommità, si innesta dunque questo braccio a volute, dalle linee armoniche ed eleganti, che funge da sostegno per il corpo luce vero e proprio costituito da un cilindro in rame a cui è avvitata una grande lampada a sfera.

Cartoline e foto d’epoca documentano ampiamente la presenza di questi arredi sul molo e tra queste, quelle più antiche, ci svelano un’altra curiosità: nella seconda metà dell’800 il luogo era illuminato da paletti artistici in ghisa di piccole dimensioni, montati sempre su basamenti lapidei, ma sormontati da una lanterna funzionante a gas. A proposito del gas e della sua iniziale “convivenza” con l’elettricità, si apprende che alla vigilia della Grande Guerra le nuove lampade elettriche erano solo 150, e fuori dal centro continuavano ad ardere le fioche luci dei fanali a gas.

I lampioni del molo su basamento, 1910 ca.

I lampioni del molo su basamento, 1910 ca.

Il molo Audace con i lampioni a pastorale su basamento

Il molo Audace con i lampioni a pastorale su basamento

Nel 1900 il molo è illuminato da pali funzionanti a gas

Nel 1900 il molo è illuminato da pali funzionanti a gas

Un ultimissimo aspetto riguarda il nome del molo Audace. In origine si chiamava San Carlo e nell’800 fungeva da attracco per i piroscafi e le imbarcazioni mercantili.  Il 3 novembre 1918, alla fine della guerra, la prima nave della Marina Italiana ad entrare nel porto di Trieste e ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace.  In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato nome al molo, chiamandolo appunto Audace. Col trascorrere del tempo e lo spostamento del traffico marittimo in altre zone, il molo si è trasformato in un luogo di passeggio molto amato dai triestini, una passerella di grande fascino protesa sul mare.

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Tutti i colori della ghisa

Posted by on Feb 18, 2020 in Arredo Urbano, Il mondo della ghisa | 0 comments

Applicata sulla ghisa la verniciatura svolge fondamentalmente due funzioni. La prima, la più importante, è quella di proteggerla dall’ossidazione. Essendo una lega metallica composta in prevalenza di ferro (97% ca.) e carbonio, la ghisa subisce in modo inevitabile l’attacco degli ossidi che si formano per azione dell’ossigeno sulla sua superficie, con il contributo dell’acqua sotto forma di umidità atmosferica o di pioggia. A differenza delle alterazioni causate da altri tipi di materiali, la ruggine si stacca facilmente dalla superficie del metallo, si sbriciola, e lascia esposta la parte sana sottostante, pronta per essere a sua volta aggredita dagli agenti esterni. Se non si interviene ciò può determinare col tempo la rottura completa del pezzo.

Al gusto e all’estetica risponde, invece, la seconda funzione. Noi siamo soliti pensare alla ghisa impiegata per l’arredo urbano e l’illuminazione del “tradizionale” colore grigio scuro, molto simile all’antracite. In realtà nell’Ottocento, e per buona parte del Novecento, era diffusissima la prassi di verniciare i manufatti in ghisa con diversi colori: i più utilizzati, oltre ovviamente al grigio, erano il bianco, il verde, il blu, il rosso, il nero e l’oro. Spesso i colori identificavano una città o addirittura una specifica area geografica. Emblematico è il caso di Venezia e dell’intera Laguna dove per i lampioni, le panchine, i chioschi e i numerosi ponti, si ricorreva – ma ciò continua ancora oggi – a utilizzare il cosiddetto “verde Venezia” o, appunto, “verde Laguna”.

I caratteristici candelabri di Venezia verniciati di "verde Laguna"

I caratteristici candelabri di Venezia verniciati di “verde Laguna”

 

Nell’Europa settentrionale, soprattutto nel Regno Unito e in Irlanda, a dominare è invece il colore bianco col quale sono verniciate le grandi strutture metalliche: serre, verande, gallerie coperte, pensiline, gazebo, chioschi per la musica, balaustre per ponti e pontili. Si tratta di un colore che contribuisce a far risaltare l’eleganza e la raffinatezza dei particolari architettonici e dei decori di cui spesso sono rivestite. Oggi si sta registrando un recupero e un nuovo forte interesse per questo colore applicato alla ghisa.

Un’altra caratteristica tipicamente britannica, diffusasi poi col tempo anche nel territori asiatici delle ex colonie, è quella di applicare sullo stesso manufatto più colori insieme. Si tratta di un fenomeno che riguarda soprattutto, ma non solo, le grandi fontane. Capita così di imbattersi, passeggiando per le strade o nei parchi, in veri e propri monumenti acquatici che attirano la nostra attenzione non solo per la qualità artistica o il gioco scenico della caduta dell’acqua dall’alto, ma anche per la vivacità offerta dai diversi colori scelti per rivestirli.

Brighton, UK, il chiosco per la musica, 1884, Txllxt TxllxT - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63819264

Brighton, UK, il chiosco per la musica, 1884, Txllxt TxllxT – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=63819264

Interno della grande serra di Syon House, Middlesex, UK

Interno della grande serra di Syon House, Middlesex, UK

Ross Fountain, Edimburgo, Kleinzach - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71451308

Ross Fountain, Edimburgo, Kleinzach – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71451308

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Poseidone a New York

Posted by on Feb 11, 2020 in Il mondo della ghisa, Itinerari | 0 comments

Probabilmente a New York non esiste nessun altro oggetto ornamentale in ghisa che possa competere in bellezza con il decoro della recinzione esterna del Dakota Building. Straordinario prodotto dell’arte fusoria in ghisa del XIX secolo, è stato realizzato dalla Hecla Iron Works, importante stabilimento americano specializzato in complementi per l’architettura. Il gruppo scultoreo, che ritorna più volte a impreziosire la balaustra, consiste di un volto umano barbuto dai tratti realistici particolarmente severi, spalleggiato da “fantastici assistenti”: una coppia di mostruose creature animali intente a stringere tra le fauci il tubolare poggiamano della balaustra stessa.

Per gli abitanti della Grande Mela non c’è alcun dubbio: il volto rappresentato è quello di Poseidone. In effetti per gli antichi greci il dio del mare era noto per il carattere cupo e litigioso, bastava un niente per irritarlo e spingerlo a scatenare disastri lungo le coste. Per punire i mortali oltre alle calamità naturali faceva risalire in superficie dagli abissi i suoi fidati mostri marini capaci di distruggere ogni cosa.

Dakota Building, balaustra in ghisa, Ingfbruno - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29692419

Dakota Building, balaustra in ghisa, Ingfbruno – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29692419

Il repertorio in ghisa che arricchisce gli esterni dell’edificio non finisce però qui: fanno bella mostra di sé anche mensole reggi lampada, candelabri, vasi ornamentali, cancelli, in particolare quello monumentale dell’ingresso principale. Trattandosi del Dakota Building (1884) si può dunque affermare che per questo palazzo, rivoluzionario sotto molti aspetti, si sia fatto largo utilizzo del materiale ritenuto a sua volta il più rivoluzionario e moderno di quegli anni, non solo dal punto di vista tecnico-strutturale, ma anche, e soprattutto, ornamentale.

A rendere ancora oggi famosa questa costruzione è il fatto che si tratta del primo condominio residenziale della storia. Per l’epoca il concetto di condominio rappresenta un’assoluta novità poiché a vivere in singoli appartamenti, spesso malsani e sovraffollati, erano soltanto le classi inferiori; l’alta società era solita risiedere in grandi abitazioni unifamiliari. Il Dakota, invece, a discapito della sua originaria posizione isolata[1] e distante dalla frenesia del centro di Manhattan, era un lussuosissimo condominio dotato di ogni comfort: grandi ambienti, materiali e finiture di pregio, attrezzature moderne per le cucine e i bagni, luce elettrica ovunque. Per questo ebbe un grande successo di pubblico, basti pensare che tutti gli appartamenti furono assegnati prima del suo completamento. Il Dakota divenne ben presto sinonimo di status sociale, il nuovo simbolo per l’alta società di New York, dove acquistare, o quanto meno affittare, un appartamento come residenza di città.

[1] Una leggenda metropolitana  vuole che il suo nome derivi dal fatto che al tempo in cui l’edificio venne costruito, l’Upper West Side di Manhattan era scarsamente abitato e quindi considerato remoto quanto il territorio del Dakota.

Dakota Building, New York, Ajay Suresh from New York, NY, USA - The Dakota, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80475406

Dakota Building, New York, Ajay Suresh from New York, NY, USA – The Dakota, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80475406

 

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