Luce

Il volto triste della luce

Posted by on Mar 15, 2021 in Il mondo della ghisa, Luce | 1 comment

Per la città correva un uomo nero.

Si arrampicava a spegnere i lampioni.

Lenta bianca l’aurora si avvicinava,

salendo assieme all’uomo sulla scala.

Là dov’erano quiete, morbide ombre,

le gialle strisce dei lampioni a sera,

la prima luce ha coperto i gradini,

penetra da tendine e da spiragli.

Ah, com’è scialba la città sull’alba!

L’omino nero piange sulla via.

 

Pietroburgo, Russia, 1912

L’uomo nero che al sopraggiungere dell’aurora si aggira di corsa per le strade e i vicoli della città è il protagonista di questa poesia di Aleksàndr Blok, uno dei più grandi poeti russi del ‘900. L’uomo nero è un lampionaio, così soprannominato perché indossa una divisa scura come la notte; la sua è una corsa contro il tempo che si ripete, identica, ogni giorno. Prima che il cielo si rischiari deve spegnere tutti i lampioni del quartiere di sua competenza. È normale che in città i lampioni si accendano la sera e si spengano all’alba, quando la luce naturale inizia a illuminare i gradini delle case e si diffonde poi all’interno attraverso le aperture e le tende alle finestre. L’unica differenza rispetto ad oggi è che a quei tempi non esisteva ancora l’elettricità e i lampionai erano gli unici addetti all’accensione e allo spegnimento dei lampioni stradali. Un mestiere sentito dai più come una missione, un’attività di vitale importanza per la città e la sicurezza dei suoi abitanti. Un incarico così importante che a parte la responsabilità li doveva sicuramente riempire di orgoglio e soddisfazione.

Eppure l’uomo nero di Blok è sorpreso a piangere lungo la via. Nel lampionaio si incarnano i sentimenti stessi dell’autore che era solito camminare la notte per le strade di Pietroburgo, accompagnato solo dalle luci dei fanali che illuminavano, oltre alle eleganti vie e ai bei palazzi, anche i vicoli gelidi più poveri, più sporchi, dove capitava spesso di imbattersi in disperati senzatetto o in pericolosi criminali. La città gli appariva dunque bellissima, ma allo stesso tempo corrosa dalla miseria e dalla desolazione. Da qui il pianto, la sofferenza del lampionaio, che per motivi di lavoro conosce e vive la città come pochi, ed è testimone di tutte le sue contraddizioni.

San Pietroburgo, illuminazione del ponte San Nicola, cartolina storica

San Pietroburgo, illuminazione del ponte San Nicola, cartolina storica

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Luci dall’antichità

Posted by on Gen 13, 2021 in Itinerari, Luce | 0 comments

Lo scavo del Grande tumulo funerario di Verghìna (Grecia settentrionale) condotto nel 1977 dal professore Manolis Andronikos dell’Università di Salonicco, ha portato al rinvenimento di tre sensazionali tombe reali macedoni. La scoperta archeologica – in assoluto una delle più importanti del secolo scorso e che è valsa l’inserimento nel 1996 del sito nella lista UNESCO – sta appassionando da alcuni decenni la comunità scientifica internazionale e il grande pubblico per la  probabilità, assai fondata, che proprio una di queste sepolture possa ospitare i resti cremati di Filippo II (382-336 a.C.) il grande sovrano macedone padre di Alessandro Magno.

Tra i ricchissimi oggetti che componevano il suo corredo funebre ne sono stati ritrovati due che avevano la funzione di illuminare, di “fare luce”. Il primo consiste in un lucerniere di bronzo decorato da una meravigliosa testa di Pan e dotato di manici nella parte superiore e zampe leonine in quella inferiore. Ma l’elemento più caratterizzante è la presenza, sui 2/3 della sua superficie, di centinaia di piccoli fori (diametro 0,2 cm) disposti per lo più in gruppi diritti paralleli. La sua forma e la sua collocazione nella tomba, vicino ad altri contenitori per l’acqua impiegati per il lavaggio e la cura del corpo, spingono a ipotizzare che il lucerniere servisse proprio durante il bagno con la funzione di proteggere la fiamma della lucerna dall’acqua, che poteva ricadere su di essa e spegnerla. La lucerna era collocata al suo interno su una base metallica e tramite i numerosi fori doveva diffondere all’esterno suggestivi riverberi.

Lucerniere in bronzo della "Tomba di Filippo" (metà IV sec. a.C. ca.) Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos) Zanetti, 1997

Lucerniere in bronzo della “Tomba di Filippo” (metà IV sec. a.C. ca.) Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos) Zanetti, 1997

Il secondo oggetto è rappresentato da una torcia in bronzo a forma di cilindro cavo (h. 30 cm – diametro 7 cm) impreziosita al centro da una fascia con motivo a spirale e a piccoli cerchi. All’estremità inferiore è attaccato un elemento tubolare in ferro di forma conica che serviva da alloggio per un bastone di legno. Grazie a questo prolungamento essa poteva essere alzata ad una certa altezza al di sopra del portatore. All’interno della torcia sono state individuate tracce di annerimento prodotte dal fumo della combustione.

La presenza di un tale oggetto all’interno di una tomba è un fatto del tutto unico e eccezionale per cui non è possibile conoscerne l’esatta destinazione anche se le fonti antiche possono venirci in soccorso: sappiamo, infatti, che a Sparta il “portatore di fuoco” e la torcia rappresentavano un simbolo sacro di guerra da porre sempre in prima linea insieme al re. Se pensiamo a quanti elementi in comune avevano le usanze spartane e macedoni potrebbe non essere di difficile interpretazione la presenza di questo oggetto nella tomba di un re macedone come Filippo, che per di più fu anche un grande condottiero.

Torcia in bronzo per il "portatore" del fuoco sacro. Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos), Zanetti, 1997

Torcia in bronzo per il “portatore” del fuoco sacro. Foto tratta dal volume Verghina, le tombe reali (a cura di Manolis Andronikos), Zanetti, 1997

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Un incontro inaspettato!

Posted by on Set 9, 2019 in Arredo Urbano, Itinerari, Luce | 0 comments

Oggi è considerato un mestiere estinto, eppure bastano pochi passi nella Città Vecchia per constatare con i propri occhi che un esponente di questo lavoro, un tempo rispettabilissimo, esiste ancora. La città è la polacca Breslavia e il protagonista è il lampionaio, un omone alto e grosso che, alle dipendenze del Comune, ogni giorno accende e spegne da solo 103 lampioni funzionanti, come nell’Ottocento, a gas.

È affascinante osservarlo in azione avvolto nella sua livrea – mantello nero e cappello in testa –  mentre stringe in mano il lungo bastone che ha la doppia funzione di spostare la leva di apertura del flusso del gas, posta alla base delle lanterne, e di accendere le fiammelle al loro interno. Cammina a passo deciso e si ferma solo pochi secondi sotto ogni lampione; poiché sono più di cento, il lavoro deve essere terminato prima che faccia completamente buio.

Negli ultimi anni la sua fama e popolarità sono andate aumentando al punto da diventare una delle principali attrazioni turistiche di Breslavia (Wroclaw in polacco), capitale storica della Slesia.

Ostrów Tumski, antica isola sul fiume Oder, oggi saldata alla terraferma, è il quartiere più antico, pittoresco e tranquillo della città. Qui si concentrano alcuni dei monumenti simbolo, come la Cattedrale di San Giovanni Battista, ma è tutta l’area a conservare l’aspetto e il fascino del borgo medievale con la sua atmosfera incantata e le strade acciottolate.

Per godere appieno della sua magia non si può mancare la passeggiata serale in ulica (via) Idziego, illuminata da una miriade di luci a gas, le stesse che si ritrovano anche alle due entrate del Ponte Tumsky, costruito in ferro e rinomato per lo scorcio romantico sul fiume.  A quest’ora il lampionaio è già rincasato, ma qua sono tutti certi che riprenderà la sua attività alle prime luci del nuovo giorno.

 

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Tra il buio e il gas – L’illuminazione ad olio di Venezia

Posted by on Mag 16, 2019 in Arredo Urbano, Luce | 0 comments

La tradizione vuole che Venezia sia rimasta al buio – o tutt’al più illuminata dalla luna e da qualche sporadico lumicino posto sotto le immagini sacre dei sottoportici – fino all’inizio del Settecento.

L’idea di un sistema di illuminazione organico della città si deve a un nobile di nome Stefano Lippomano che nell’autunno del 1719, con l’appoggio dei  bottegai dell’area marciana, fece inserire sulle pareti esterne dei negozi i cosiddetti ferali, i primi fanali ad olio.

I ferali, primi fanali ad olio per l'illuminazione notturna di Venezia

I ferali, primi fanali ad olio per l’illuminazione notturna di Venezia

Nel volgere di pochi anni  la novità venne allargata a tutte le contrade, abitazioni comprese, nonostante l’iniziale sollevazione degli scodega, gli accompagnatori notturni forniti di lume portatile che prestavano servizio a pagamento e che si videro improvvisamente messi da parte. Le cronache del tempo riportano notizie di veri e propri atti vandalici contro i fanali e i bracci in ferro ai quali erano appesi.

Il primo “impianto” di illuminazione prevedeva un finanziamento mediante contribuzioni volontarie, provenienti in larga parte da privati facoltosi, alle quali col tempo si andarono ad aggiungere le riscossioni dell’imposta “sopra i ferali” da parte del magistrato alle pompe , chiamato a gestire questa nuova attività, in parallelo alla sua funzione principale di prevenzione degli incendi.  Dai registri del magistrato traspare l’esigenza di tenere illuminata Venezia per tutta la notte: lo richiedeva la popolazione, non solo per aumentare la sicurezza notturna, ma anche per garantire un maggior decoro cittadino.

All’accensione, spegnimento e corretto funzionamento dell’impianto provvedevano, sempre per ordine del magistrato, i soprastanti alli fanali che utilizzavano i vari tipi di olio in commercio:   l’olio di balena, di lino, di rapa, ma anche quello ottenuto dalla spremitura delle olive, il migliore e di conseguenza anche il più costoso di tutti. I suoi pregi erano la possibilità di bruciare più a lungo  e di emanare una luce molto più chiara e brillante.

Con la fine della Repubblica, a partire dal 18 aprile 1797 furono i nuovo padroni della città, gli austriaci, ad occuparsi direttamente  della gestione del servizio di illuminazione. La materia passò alla Deputazione interna polizia strade, canali e illuminazione della città che continuò a sovraintendere l’impianto esistente. Solo nel 1843 l’olio verrà definitivamente soppiantato dall’introduzione del gas-luce.

Lo scodega (a sinistra) accompagnatore notturno dotato di lume portatile e un soprastante alli fanali (a destra) addetto al corretto funzionamento dell'impianto di illuminazione a olio

Lo scodega (a sinistra) accompagnatore notturno dotato di lume portatile e un soprastante alli fanali (a destra) addetto al corretto funzionamento dell’impianto di illuminazione a olio

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“Olio lampante” Il primato di Gallipoli

Posted by on Feb 5, 2019 in Arredo Urbano, Itinerari, Luce | 1 comment

C’è stato un tempo, a partire dal XVII secolo, nel quale l’olio di Gallipoli era considerato il migliore del Mediterraneo. Ottenuto dalla spremitura delle olive, non era usato per l’alimentazione, bensì per illuminare le case, ma, soprattutto, le strade e le piazze cittadine. Da qui il termine “olio lampante” per indicare un prodotto che serviva appunto ad alimentare le lampade.

Il suo prezzo veniva battuto da Napoli a Londra (oggi sarebbe stato quotato in borsa!). Navi e bastimenti provvedevano a trasportarlo dal porto della città salentina verso i principali scali italiani e del Nord Europa; da questi ultimi raggiungeva addirittura gli Stati Uniti e le steppe russe. Era impiegato nelle lanerie della Gran Bretagna e grazie alla sua purezza illuminava le icone venerate nelle chiese ortodosse di Mosca. Anche il Palazzo d’Inverno di Pietroburgo si accendeva con l’olio gallipolino che faceva risaltare gli ampi saloni ricchi di specchi e marmi policromi. Pare che la stessa zarina Caterina avesse più volte inviato emissari a Gallipoli per cercare di scoprirne il segreto.

Il porto di Gallipoli nel XVIII secolo

Il porto di Gallipoli nel XVIII secolo

Segreto che nasceva negli antichi frantoi ipogei disseminati per la città, una trentina di questi localizzati solo nel centro storico.  Il suo successo era infatti favorito dalle particolari condizioni ambientali: le vasche sotterranee e le pietre di decantazione, così come la temperatura sempre fresca, l’umidità e la salsedine marina, hanno permesso la creazione di un prodotto vincente.

La sua gradevolezza era dovuta in primis alla lucentezza e alla purezza, qualità fondamentali se si considera che tutti gli altri olii fornivano poca luce ed erano caratterizzati da un perenne alone opaco; per di più facevano molto fumo e l’odore sgradevole impregnava a lungo gli ambienti. Inoltre le lampade cittadine erano chiuse da vetri che a causa del fumo si annerivano velocemente  e la loro pulizia era molto costosa. Tutto ciò rende facilmente comprensibile l’altissima richiesta di quest’olio da parte delle principali città e capitali d’Europa che potevano finalmente disporre di un prodotto illuminante privo di fumo e molto lucente.

Lo sapevano bene gli stessi “accenditori”, addetti municipali che provvidero a rifornire le lampade e le lanterne di mezzo mondo di questo prezioso oro liquido. Poi, a partire dalla metà dell’800, una importante innovazione inflisse prima un duro colpo e poi successivamente condannò all’oblio l’olio salentino. Dopo oltre due secoli di predominio incontrastato nasceva e si stava diffondendo ovunque il gas-luce!

All’olio lampante sarà dedicata una mostra all’interno del Castello di Gallipoli dal titolo “Lampante. Gallipoli, città dell’olio” in programma dal 25 aprile al 3 novembre 2019.  Anche il Museo Italiano della Ghisa parteciperà all’evento con un pezzo della sua collezione: un lampione ottocentesco per l’illuminazione pubblica funzionante originariamente ad olio.

Un "accenditore" per le strade di Milano

Un “accenditore” per le strade di Milano

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Gli “accenditori” di lanterne

Posted by on Giu 4, 2018 in Arredo Urbano, Luce | 1 comment

A partire dalla metà del Settecento l’illuminazione privata, posta principalmente sui portoni d’ingresso delle case, si trasforma in illuminazione stradale mediante l’utilizzo di lanterne alimentate ad olio o per mezzo di candele. Il controllo e la manutenzione di questi apparecchi, che iniziano a essere fissati anche alla sommità di semplici pali in legno o in ferro, passa dai singoli cittadini a figure specializzate, i cosiddetti “accenditori”. In questo modo si procede gradualmente ad illuminare tutte le città e davvero rilevante è il fatto che tale “servizio” non viene più offerto dai privati cittadini, a spese proprie, ma dalle stesse amministrazioni comunali. Tutto ciò si traduce nella nascita della prima forma di illuminazione davvero pubblica.

Il fenomeno interessa l’intero continente europeo, trovando nelle principali città – Parigi su tutte – il terreno fertile per il suo graduale sviluppo. La figura che emerge, e che sembra accomunare un po’ tutti i centri, è quella di un “ispettore” nominato dagli stessi comuni col compito di sovraintendere agli aspetti riguardanti l’illuminazione delle città.

Parigi, primi riverberi pubblici mediante l'utilizzo di lanterne contenti candele

Parigi, primi riverberi pubblici mediante l’utilizzo di lanterne contenti candele

In Germania, più precisamente nel grande centro portuale di Amburgo, a svolgere  nella metà del XVIII secolo questo compito di responsabilità è un certo Cornelius von der Heyde con al proprio servizio 5 aiutanti e 32 accenditori che provvedono all’accensione di ben 400 lanterne. Gli operatori devono seguire un rigido protocollo riportato sulla “tabella dei lumi”, un documento giunto fino a noi sul quale veniva annotato un po’ di tutto: i tempi di accensione e spegnimento, le dimensioni delle candele o la quantità di olio da utilizzare e persino le sanzioni previste per i trasgressori, che si traducevano il più delle volte in riduzioni del salario.

Una sorta di vademecum in 15 punti che riportiamo qui integralmente.

 Istruzioni per gli accenditori di lanterne di Amburgo

 

  1.  Gli accenditori devono accendere le lanterne, iniziando esattamente al tocco della campana, ed osservando le indicazioni riportate nel calendario delle lanterne
  2.  Per l’accensione deve essere aperto solo lo sportello piccolo, e nessun altro: subito dopo chiudere bene di nuovo questo sportello
  3.  Una volta accese le lampade, l’accenditore deve passarvi davanti ed accertarsi, osservandole, del loro corretto funzionamento. Se qualcuna funziona male o si è spenta, rimetterla in funzione. Se si scopre che qualcuno non è al suo posto prima del tocco della campana, l’ispettore è autorizzato a trattenergli dalla paga mezzo tallero, ove tre quarti di questo vanno dati ai poveri
  4.  L’accensione delle lanterne deve essere eseguita con la massima cautela, appoggiando la scala e avvicinandosi quindi al tubetto dello stoppino, ove lo stoppino non deve incassarsi e impedire una corretta combustione
  5.  Gli accenditori sono tenuti a spegnere le lanterne nei giorni che seguono all’ultimo quarto fino alla luna piena
  6.  Gli accenditori devono di persona accendere le lampade e per nessuna ragione affidare tale incarico a terze persone. Se esistono motivi validi per tale impedimento devono informare l’ispettore, il quale dovrà incaricare un altro a loro spese, in modo che nulla venga tralasciato
  7.  Gli accenditori devono anche avere propri lumi, lanterne e scale, senza nulla mettere in conto alla comunità della città
  8.  Se in qualcuno viene riscontrata trascuratezza nel lavoro, questi subisce ammende pecuniarie con detrazioni dalla paga come segue
  9.  Se una lampada viene accesa una mezz’ora prima o dopo, e precisamente prima o dopo il tocco della campana, 3 scellini
  10.  Se e dopo l’accensione della lampada viene trovato uno sportello aperto, 8 scellini
  11.  Per una lampada che non è accesa, 6 scellini
  12.  Allo stesso modo per una lampada non accesa dall’addetto ma da qualche altra persona, 6 scellini
  13.  Per una lampada che viene trovata accesa nei giorni in cui devono rimanere spente, per un’ora oltre quella stabilita, 3 scellini
  14. Chi invece dimostra all’ispettore le ragioni che hanno impedito l’accensione delle lampade o una loro irregolare funzione non subirà ammenda pecuniaria
  15. Tutti sono infine tenuti a comportarsi responsabilmente in conformità al contratto prescritto, ove ciascuno deve essere trovato sobrio e corretto durante il lavoro, mentre all’ispettore è data facoltà di punire i trasgressori con la riduzione della paga. Ed ognuno deve attenersi a tale regolamento.

 

"Accenditore" di lanterne al lavoro

“Accenditore” di lanterne al lavoro

 

 

 

 

 

 

 

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