Il ponte delle Sirenette
“È lavoro uscito da quest’officina il piccolo ma elegante ponte in ferro sul naviglio di Milano fra il ponte di porta Tosa e quello di San Damiano. I bassi-rilievi e le statue furono modellate sui gessi del riputato scultore Cacciatori; e solo dispiace che per questo grazioso lavoro sia stata scelta una ubicazione così poco convenevole, a tal punto che ei rimane quasi inosservato” (Dizionario Corografico Universale dell’Italia, 1850, p. 299)
Osservato e ammirato lo è invece oggi, e come, il ponte delle Sirenette, trasferito negli anni ‘30 nel parco Sempione in seguito alla copertura del Naviglio interno. La sua è una storia lunga e curiosa, a partire dal fatto che si tratta di uno dei primi ponti metallici in Italia, il primo a Milano, inaugurato nel 1842 dall’arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto, in onore dell’imperatore austriaco Ferdinando I. Il progetto reca la firma dell’ingegnere Francesco Tettamanzi che ne commissionò la fusione alla ditta comasca Rubini-Falck nella fonderia di Dongo, sul lago di Como.[1]
Fin da subito furono motivo di grande scandalo le quattro statue in ghisa, raffiguranti sirene, poste sui montanti a decoro della struttura. Esse apparivano così sensuali e senza veli da lasciare interdetti i milanesi dell’epoca; si racconta che era così forte l’imbarazzo suscitato fra le signore da spingerle a coprirsi lo sguardo mentre lo attraversavano. E proprio alla presenza delle sirene si devono gli altri nomi con i quali il ponte venne ribattezzato: primo fra tutti “il ponte delle sorelle Ghisini” poiché le statue erano realizzate in fusione dighisa.
Ma in realtà l’opera piaceva, soprattutto per l’armonia delle proporzioni, e col passare del tempo divenne uno dei monumenti più iconici della città. Più che un ponte vero e proprio consisteva in una passerella pedonale che attraversava il fossato in via San Donato e fungeva da unica via d’accesso ai palazzi posti sulla sponda opposta. Poi, come già accennato, negli anni ’30 del Novecento i Navigli vennero interrati per ragioni sanitarie, ma il Comune decise di salvarlo reputandolo un’opera di importante valore storico-artistico. Fu smontato, pezzo per pezzo, e ricostruito all’interno del vicino parco Sempione, Sfortunatamente durante i lavori una parte della ringhiera si ruppe e fu necessario sostituirla con del ferro tubolare. Anche due delle quattro sirene sono oggi copie in bronzo delle originali andate perdute (una a causa dei bombardamenti durante il secondo conflitto bellico mondiale, l’altra rubata nel 1948).
A distanza di quasi un
secolo il ponte accoglie ancora passanti e frequentatori in un’ansa del
laghetto posto al centro del parco con il Castello Sforzesco sullo sfondo; le
sirene non scandalizzano più nessuno, anzi sono tra le più fotografate e
instagrammate di questo polmone verde nel cuore di Milano.
Ponte delle Sirenette, Di Pmk58 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35831711
[1] Nel 1792 Pietro Rubini acquistava le miniere, il forno e le fucine di Dongo (CO) dal nobile Cesare Giulini, dando origine alla Ferriera di Dongo. Nel 1833 chiamò come consulente dalla Francia l’ingegnere meccanico, specializzato in siderurgia, Georges-Henri Falck. L’apporto di innovazioni introdotte da Falck, divenuto col tempo socio dell’impresa, si rivelò così decisivo che la ferriera si avviò a diventare una delle acciaierie più moderne ed efficienti dell’intera Penisola. Tornato in Francia nel 1865, Falck lasciò la guida al figlio Enrico che nel frattempo aveva sposato Irene Rubini, l’erede dell’acciaieria, trasferendo così la proprietà dell’azienda nelle mani della famiglia Falck.
Read MoreUna App per scoprire i nasoni di Roma
Si chiama Waidy ed è una App sviluppata dal team interno di Acea (Azienda Comunale Energia e Ambiente). Mostra circa 3000 punti di distribuzione dell’acqua serviti dalla multiutility. Ovunque ci si trovi è sufficiente aprire l’applicazione (si scarica dagli store degli smartphone, sia Apple che Android) e trovare le fontane o le fontanelle di Roma più vicine alla propria posizione.
Il progetto rappresenta l’evoluzione hi-Tech di questi preziosi manufatti e permette di scoprire diverse curiosità di ogni punto d’erogazione, dalla sua storia, alla qualità dell’acqua, agli eventi culturali in programma nelle immediate vicinanze. Ma non è tutto, in quanto Acea sostiene che Waidy incentivi l’utilizzo dei contenitori refill, come le borracce, contribuendo così alla riduzione della plastica monouso e all’utilizzo più responsabile, da parte dei cittadini e soprattutto dei turisti, della risorsa idrica. Ciò è favorito dal fatto che le fontanelle pubbliche romane, diversamente da tante altre realtà, sono tutte, o quasi tutte, funzionanti. Inoltre, quando si parla di loro, vengono connotate tramite un appellativo specifico: i nasoni uno dei simboli della Capitale, che proprio quest’anno compie 150 anni.
Era il 1874 quando il Comune di Roma, su iniziativa del sindaco Luigi Pianciani e dell’assessore Rinazzi, decise l’installazione, nel centro cittadino, di numerose fontanelle in ghisa con lo scopo di dissetare e fornire refrigerio a residenti e passanti. Un massiccio cilindro in fusione, del peso approssimativo di 100 kg, sormontato da un cappello, il solo elemento decorato, con motivi vegetali. Da subito furono soprannominate nasoni per via del rubinetto curvato che ricordava la forma di un naso. L’acqua fresca e potabile che ne fuoriusciva è passata invece alla storia come l’acqua der sindaco. Eppure, inizialmente, i nasoni disponevano non di uno, ma di tre rubinetti decorati con teste di drago; si tratta della tipologia più antica, di cui oggi restano solo tre esemplari, ubicati in luoghi storici: davanti alla fontana di piazza della Rotonda (per questo conosciuto come il nasone del Pantheon), in via di San Teodoro e in via delle Tre Cannelle, nel Rione Trevi.
Nei decenni questa tipologia si è diffusa in ogni angolo della città, dal centro alla periferia, e a guardarli bene i nasoni non sono proprio tutti uguali. Alcuni riportano ancora l’originaria iscrizione “Acqua Marcia”[1] o il fascio littorio con l’indicazione dell’anno segnato in numeri romani, altri sono stati personalizzati, per meglio dire “sponsorizzati”, come quelli presenti al Foro Italico che riportano lo stemma del CONI. Al di là dei dettagli quello che risulta interessante è il favore che, da sempre, questi oggetti incontrano presso i residenti romani.
Risulta difficile, se non
impossibile, stabilire quanti siano oggi i nasoni: si parla di oltre 2000,
ma potrebbero essere anche di più, se si considera l’intera area di
giurisdizione del comune.
[1] L’Aqua Marcia è uno dei grandi e antichi acquedotti romani, costruito nel 144 a.C. dal pretore Quinto Marcio Re e rimasto in funzione per molti secoli. L’abbondanza e l’ottima qualità dell’acqua spinsero in tempi molto più recenti papa Pio IX a ripristinarlo: la nuova inaugurazione avvenne l’11 settembre del 1870
Read MoreTorino: Caffè storici e luce a gas
I Caffè storici di Torino rappresentano un patrimonio culturale che appartiene alla collettività. Hanno accolto ai loro tavoli patrioti, esuli, artisti, parlamentari. Sono luoghi che contengono ricordi, cimeli, arredi. Dagli anni ‘90 una legge regionale li tutela e salvaguardia, ciò ha favorito il loro inserimento nel circuito turistico nazionale e internazionale.
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75906373
Non tutti sanno, però, che i Caffè torinesi furono anche i primi locali pubblici ad adottare l’illuminazione a gas, alcuni addirittura molto prima della sua diffusione nelle strade e nelle piazze cittadine. Il primato spetta al Caffè Gianotti (in seguito San Carlo) che impiegò il gas sin dal 1823, 14 anni prima che l’ingegnere francese Ippolito Gautier fondasse l’omonima Compagnia del Gas.
L’utilizzo di eleganti lampadari – a uno o più becchi – e di lampade fissate a parete mediante un braccio in ferro o in ghisa, serviva ai Caffè per attirare i clienti e farsi pubblicità sui giornali. Nella Gazzetta Piemontese del 1 febbraio 1838 si poteva leggere: Caffè del Corso, Illuminazione a gas, Musica corale strumentale, dalle cinque alle nove pomeridiane.[1]
Ciò non esclude che in quegli anni esistessero locali che utilizzavano ancora l’olio, sia perché i proprietari non erano in grado – pur apprezzando la novità – di sostenere la spesa per la nuova illuminazione, sia perché la loro clientela era ostile al cambiamento e non intendeva rinunciare alle stravecchie lampade ad olio. Ad ogni modo dalla metà del XIX secolo i Caffè furono alla testa di coloro che adottarono il gas, e contribuirono in maniera decisiva alla trasformazione del volto notturno di Torino.
Alla storia dell’illuminazione pubblica di Torino, compresa quella a gas, la Fondazione Neri ha dedicato un’approfondita ricerca pubblicata sul numero 2-2023 della rivista Arredo & Città
PROGRESSO E CAMBIAMENTO DEL GUSTO –
Arredo & Città (arredoecitta.it)
[1] R. Cerutti – E. Gianeri, L’officina del gas di Porta Nuova a Torino, p. 159
Read More“Un’insolita grotta”
Dall’8 dicembre al 14 gennaio 2024 il borgo medievale di Longiano si trasforma nella “Longiano dei presepi”. I visitatori potranno rivivere un’autentica atmosfera natalizia, ricca di suggestioni culturali, unica in Romagna. L’evento, giunto alla sua 33ª edizione, è interamente dedicato agli 800 anni dal primo Presepe di San Francesco d’Assisi.
Tra le grandi novità di quest’anno spiccano le passeggiate-spettacolo dedicate all’essenza del Natale lungo un itinerario che tocca decine di allestimenti collocati nelle piazze, strade, giardini, musei e angoli suggestivi del centro storico.
Presso il Museo Italiano della Ghisa è sempre stata fatta la scelta di inserire il presepe in un contesto che richiami lo specifico del nostro allestimento (negli anni sono stati impiegati, ad esempio, decori in ghisa, lanterne, modelli, basamenti di pali monumentali). Per l’edizione 2023-24 si è pensato di ospitare la Natività in “un’insolita grotta” che consiste in una vera e propria cassa d’anima.
Di cosa si tratta? In fonderia il modello rappresenta la figura dell’oggetto che si vuole ottenere. Se questo presenta dei vuoti interni – per esempio un palo della luce in ghisa – a realizzarli è l’anima. Anche l’anima deve essere prodotta tramite un modello, in questo caso detto cassa d’anima, che ne riproduce la forma stessa in negativo. Le casse, generalmente in legno o in materiale metallico, sono costituite da due matrici che, una volta chiuse, riproducono la cavità corrispondente all’anima. Questo è il singolare contenitore all’interno e attorno al quale va in scena il nostro presepe.
Sede: Museo Italiano della Ghisa, presso chiesa di Santa Maria delle Lacrime , via Santa Maria, Longiano (FC)
Orari: sabato, domenica e festivi dalle 14.30 alle 18.00; dal 23 dicembre al 7 gennaio ogni giorno dalle 14.30 alle 18.30
La Parigi di Eiffel
In occasione del centenario della morte di Gustave Eiffel (1832-1923) la Cité de l’Architecture et du Patrimoine – situata nel Palais de Chaillot – presenta una mostra inedita dedicata alla Parigi dell’illustre ingegnere. In esposizione mappe dettagliate dei luoghi in cui visse e lavorò, numerosi progetti, anche quelli meno noti, oltre a una serie di documenti che aiutano a comprendere il ruolo e l’influenza della Ville Lumière sulla sua vita professionale e privata. Viene data evidenza anche agli incontri con le grandi personalità del tempo, in particolare la sua collaborazione con lo scultore Auguste Bartholdi per la realizzazione della Statua della Libertà, donata dalla Francia agli Stati Uniti nel 1886, e per la quale fu proprio Eiffel a progettare la struttura portante interna in metallo.
L’intento principale della mostra è quello di mettere in luce la ricchissima e variegata eredità lasciata da Eiffel nel paesaggio parigino, anche attraverso un itinerario urbano che tocca i luoghi più significativi. Tra questi il Palais Galliera, oggi Musée de la Mode, dove Eiffel realizzò la struttura metallica dell’edificio; la passerella sospesa nel parco delle Buttes Chaumont; il cabaret Le Paradis Latin; il magazzino Le Bon Marché; l’ossatura metallica dello Shack, oggi un affascinante cocktail bar e spazio per il coworking, proprio di fronte all’Opéra Garnier.
Lo stesso Palais de Chaillot, sede della mostra, si affaccia sull’opera che più di tutte lo ha reso immortale, la Torre Eiffel. Realizzata in due anni, fu concepita per i cittadini del Ventesimo secolo e consegnata alla storia il 31 marzo del 1889, data di inaugurazione dell’Esposizione Universale. Due milioni e mezzo di bulloni, diecimila tonnellate di ferro, sedicimila travi d’acciaio: con quattro impressionanti piloni a semiarco, Eiffel ancorò il futuro alla spianata del Campo di Marte. Qui il cielo “si impiglia” in cima alla torre, a 324 metri d’altezza, dove i parigini sostenevano che l’aria fosse così buona da guarire persino il morbillo. Eppure, all’inizio la gente non seppe che farsene di tanta ingegneria, sembrava un’impalcatura sbagliata intorno al nulla, sebbene fin da subito ci fosse la fila per salire con gli ascensori in cima al nuovo mondo e godere di una vista impareggiabile sulla città. Ma era snella, sottile, di notte brillava come la luna; pian piano la città si abituò al nuovo gigante di ferro e cominciò a specchiarsi nel suo primato, confermando in pieno le previsioni del suo costruttore, convinto che prima o poi tutti l’avrebbero inevitabilmente amata.
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